Berberè: ritorno alle origini, pizza slow e design

Alessandra Zecchinon

Intervista a Salvatore Aloe

Berberè, un nome esotico e inusuale che richiama le origini del gusto. Pizze preparate con estrema cura e ingredienti di qualità. Locali accoglienti in cui il design è gentile e fa sentire a proprio agio così come il personale preparato e professionale.
Un concept di pizzerie nato dall’idea dei fratelli Salvatore e Matteo Aloe – rispettivamente imprenditore e chef – che sta riscuotendo successo in Italia ed ha iniziato ad espandersi anche all’estero.
 
fratelli aloe berbere

Com’è nata l’idea di creare la catena di pizzerie Berberè?
Io e mio fratello Matteo, calabresi, vivevamo a Bologna dove eravamo venuti per studiare economia e, fin dal nostro arrivo, ci eravamo accorti che in città mancava una buona pizzeria di qualità. Da un nostro desiderio personale, quindi, è partita la nostra avventura, ma ci sono voluti due anni di studio per giungere all’inaugurazione del primo locale a Castel Maggiore, in provincia di Bologna, nel 2010. All’epoca, anche se non parliamo di tanto tempo fa, in Italia il mondo della pizza era statico, molto legato alla tradizione e c’erano solo due operatori del settore che stavano provando a fare qualcosa di nuovo e diverso dal solito: Gabriele Bonci e Simone Padoan. Siamo cresciuti piano, piano. Ci sono voluti, infatti, 3 anni prima di aprire il secondo locale a Bologna. Questo perché, per noi, rimane fondamentale la formazione del nostro personale.

Berberè è una miscela di spezie perché avete scelto questo nome per la vostra catena?
Il nome del brand è stato studiato insieme con lo staff di Comunicattive, la nostra agenzia bolognese che cura anche l’allestimento dei locali e segue l’ufficio stampa e tutta la nostra comunicazione. L’obiettivo era individuare un nome che sintetizzasse il caleidoscopio delle nostre esperienze (alta cucina, retail, design, panificazione). E così abbiamo trovato in Berberè, un mix di spezie etiopi, il nome ideale per la nostra attività, un mix di competenze e culture che messe assieme hanno fatto nascere un nuovo prodotto.
 

Quali sono le caratteristiche che distinguono la vostra catena di pizzerie dalle altre?
Innanzitutto il non essere un franchising. La gestione di tutti e 9 i locali è diretta. Siamo convinti che la qualità si possa replicare.
Questo significa magari crescere più lentamente, ma in maniera solida, perché puntiamo molto nella formazione del nostro personale (dai ragazzi e ragazze in cucina a chi serve in tavola). Ogni giorno in ogni nostro locale viene realizzato l’impasto della pizza partendo da acqua, farina e pasta madre viva rinfrescata e curata quotidianamente.

Come selezionate e scegliete i vostri fornitori?
Grazie ad una fruttuosa partnership con Slow Food utilizziamo una serie di Presìdi di assoluta eccellenza: i capperi di Salina sono di Salvatore d’Amico, la mozzarella vaccina è di Querceta di Putignano, quella di bufala è di Nicola Cecere di Cancello e Arnone (CE). In sintesi, oggi l’80% degli ingredienti è biologico, con una percentuale vicina al 100% per il food. A ciò va aggiunto che l’ingresso in società di Alce Nero, che dal 2015 supporta il nostro sviluppo. Loro ci forniscono la farina tipo 1 per le pizze (per impasti con cereali diversi dal grano usiamo quelle di Mulino Marino), l’olio d’oliva e i pomodori.
 

Quali sono le vostre proposte a livello di menù e come si declinano in base alle stagioni e regioni nelle quali siete presenti?
Il nostro menù è rigorosamente stagionale, per cui cambia ogni 3 mesi ed è uguale in tutti i nostri locali. Una parte del nostro menù ha pizze più tradizionali, nell’altra invece si esprime maggiormente l’estro di Matteo.
Mio fratello è, infatti, cresciuto facendo esperienza nelle cucine mentre studiava e ha avuto la fortuna anche di frequentarne d’importanti come quella di Pietro Leemann e del Noma di René Redzepi. E il tocco dell’alta cucina si nota nei dettagli, dalla scelta dei fornitori e delle materie prime, nella sapienza degli accostamenti, nell’attenzione alle cotture, nella creatività. Come dicevo poi scegliamo ingredienti stagionali, di qualità e biologici, provenienti da contadini e allevatori che hanno scelto un’agricoltura sostenibile.
 

Come descrivereste la vostra pizza e il vostro impasto?
La nostra filosofia è, principalmente, “pizza buonissima”.
Perché lo sia, ci siamo impegnati fin dall’inizio nel trovare una materia prima di alta qualità. Per questo abbiamo intrapreso uno studio sui cereali con Alce Nero con l’idea di migliorare e studiare le farine per gli impasti. Oggi usiamo solo farine semintegrali biologiche (oltre al grano impasti anche con enkir, farro e Senatore Cappelli) che contengono all’interno fibre, vitamine idrosolubili e tutti gli oligoelementi presenti nel chicco. Allo stesso modo per la farcitura scegliamo ingredienti genuini (in gran parte biologici) provenienti da piccoli produttori.
Non da ultimo utilizziamo il lievito di pasta madre viva, lasciando così il tempo all’impasto di lievitare a temperatura costante. La nostra pizza è non solo croccante fuori e morbida dentro, ma molto digeribile. Tutto questo si riassume in artigianalità, una parola che racchiude in sè il concetto di qualità, cura e attenzione.

Quali sono i progetti per lo sviluppo futuro di Berberè? Avete preso in considerazione di aprire altri punti vendita all’estero oltre a quello di Londra?
Vogliamo crescere, ma senza fretta. Diciamo che due o tre nuovi locali all’anno potrebbero essere la giusta misura di uno
sviluppo organico, come quello che ha caratterizzato questi anni. Ecco perché abbiamo accolto con cortesia l’interessamento di qualche fondo intenzionato a investire nella ristorazione, ma senza andare oltre. Al momento siamo più che soddisfatti di quello che stiamo facendo.
 

Courtesy: Berberè


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