Bord(eau)x. Dove c’è l’acqua ci sono grandi vini

Luca Gardini

Luca Gardini

Dove c’è acqua ci sono grandi vini. Sembra un controsenso, ma è così. Pensate a quei territori in cui l’acqua è parte rilevante del paesaggio. Non troppa però, perché se sei in Portogallo e sei un fuoriclasse, ti basta quella del fiume Douro per essere un grande Porto, senza necessariamente dover assomigliare a CR7, anche lui nato in mezzo all’acqua essendo cresciuto sull’isola portoghese di Madeira. Altri esempi? I Riesling, forse i più grandi al mondo provengono dalle sponde dei fiumi Mosella e Reno e, andando in Francia, i vini di Bordeaux. Qui niente dualismi ma solo ensemble, visto che oltre ai due fiumi (Dordogna e Garonna) che caratterizzano il territorio, il vino da che esso deriva è composto generalmente da due vitigni: Cabernet Sauvignon e Merlot. Squadra che vince non si cambia verrebbe da dire, scorrendo la lista dei grandi vini del mondo, compresi i nostri supertuscan, prodotti proprio a partire da queste due varietà. Come tutti i miti che si vogliano definire tali, anche al vino di Bordeaux è servita un po’ di storia che ne legittimasse la leggenda.
 
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Si parte allora con l’impero romano che già conosceva il valore vitivinicolo del territorio, passando per quello inglese che lo farà conoscere al mondo intero, per poi arrivare ai recenti imperi della new economy, forse gli unici oggi a potersi permettere di bere i grandi Bordeaux. Se l’esclusività diventa tale grazie alla mancanza di quantità, per i vini che qui si producono il discorso non vale. Lo dimostrano gli oltre 100000 -avete letto bene non ho esagerato con gli zeri- ettari vitati. Una superfice molto ampia, ripartita tra vini rossi, quasi il 90% della produzione, bianchi secchi e bianchi dolci, i famosi Sauternes. Dopo la storia un po’ di geografia. La zona di produzione si trova nella parte sud-occidentale della Francia. Qui arriva la corrente del golfo a mitigare il clima della zona, cui si somma un mosaico geologico, per altro abbastanza ben scandito tra la riva destra e quella sinistra, che determina a sua volta la ripartizione percentuale di Cabernet e Merlot nei vini che si producono sulle sponde dei fiumi Dordogna e Garonna.
 
Non serve il tom tom per orientarsi, visto che a sinistra troveremo generalmente etichette basate sul Cabernet Sauvignon e su quella destra vini a base Merlot. Non si tratta di banale razionalizzazione produttiva, ma di conoscenza delle iterazioni che intercorrono tra suoli e vitigni. Varietà giusta al posto giusto quindi. E che posti verrebbe da dire, guardano le aziende del bordolese, qui chiamate châteaux (letteralmente castelli). Non hanno merli o fortificazioni, ma non mancano certo di un’allure a dir poco principesca, che contribuisce a qualificare i vini di Bordeaux, insieme ad altri elementi. Su tutti due, la barrique qui utilizzata prima di altri per non dire prima di tutti, oltre a quella straordinaria lungimiranza, in gran parte di matrice commerciale, che fu la classificazione del 1855.
 
In questa data Napoleone III volle, si era in piena esposizione universale di Parigi, che venisse stilata una sorta di classifica qualitativa degli châteaux bordolesi, da qui in poi suddivisi in cinque categorie partendo dai Premieres Grands Crus Classé e arrivando ai Cinquièmes Grands Crus Classé. La graduatoria praticamente mai modificata da allora, se non per due eccezioni, ha determinato una sorta di ranking che, sommata alla qualità delle diverse annate, ha determinato e determina il valore commerciale, spesso molto elevato ma alla fine mai troppo distante da quello gustativo, delle etichette ricavate dai diversi châteaux.
 
A questo si aggiunge una delle qualità che meglio elevano la produzione bordolese, parlo da un punto di vista gustativo, rispetto a quella di altre zone vitivinicole: la capacità di durare nel tempo. Quanto? Tanto, come dimostrano gli assaggi effettuati personalmente su esemplari riferiti praticamente a tutte le decadi del secolo scorso. Tornando all’attualità voglio invece condividere le impressioni dell’ultima annata in commercio, la 2013, da me assaggiata in occasione del Week-end Des Grands Crus, kermesse organizzata dall’Union des Grands Crus de Bordeaux. Com’è? Un’annata difficile ma che tuttavia, in particolar modo riferita alle zone di Saint-Julien, Pauillac e Saint-Émilion, ha mostrato vini immediati, oltre che caratterizzati da una complessità più che buona.
I vini di Bordeaux in Italia non hanno un solo importatore salvo rare eccezioni.


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