Agli italiani piace fare festa e, seppur in aria di crisi, non si rinuncia mai ad un buon aperitivo con gli amici, anche se il potere d’acquisto è limitato, come spesso capita ai giovani. Secondo i dati elaborati da Nielsen, lo scorso anno il valore economico del consumo di aperitivi è cresciuto di 2 milioni di euro per due motivi principali: il costo contenuto che permette l’acquisto anche alla clientela giovane che preferisce di gran lunga lo spritz alla cena in ristorante e la coerenza con lo “stile mediterraneo” che consente un consumo di alcolici ridotto.
L’aperitivo è quindi l’occasione di consumo di bevande, alcoliche e analcoliche, che resiste meglio all’interno del mondo degli alcolici e che riesce a sviluppare vendite per circa 210 milioni di euro all’anno (+1,1% rispetto al 2014). La cifra aumenta ancor di più se si parla di “apericena”, ovvero mixando il drink con qualche stuzzichino salato.
L’aperitivo, contrariamente a quanto si può pensare, ha origini molto antiche. Vi sono testimonianze già a partire dal V secolo a.C., quando Ippocrate, il famoso medico greco, scoprì che per alleviare i disturbi di inappetenza dei suoi pazienti, era sufficiente somministrare loro una bevanda a base di vino bianco, fiori di dittamo, assenzio e ruta. 2500 anni dopo i principali drink consumati prima di cena sono prevalentemente bitter, e quindi caratterizzati da un retrogusto amaro, proprio come la bevanda greca.