La birra, più che una semplice bevanda, è un prodotto agricolo profondamente legato alla terra. Dietro ogni sorso si nasconde una filiera fatta di orzo, malto e luppolo, coltivati in un suolo che oggi, più che mai, ha bisogno di essere rigenerato. In un’epoca di cambiamenti climatici, scarsità di risorse e crescenti sfide ambientali, il futuro della birra potrebbe davvero dipendere dalla qualità del suolo. E sempre più attori della filiera brassicola stanno prendendo coscienza di questo legame, spingendo verso un nuovo modello: l’agricoltura rigenerativa.
Dalla terra alla birra, la sfida parte dal suolo
È questo il messaggio forte emerso il 16 aprile al Birrificio Angelo Poretti di Induno Olona, dove Carlsberg Italia ha acceso i riflettori sull’importanza del suolo in occasione della Giornata Nazionale del Made in Italy. Un talk istituzionale ha riunito voci dal mondo agricolo, politico e accademico per discutere di come l’agricoltura rigenerativa possa rappresentare una leva strategica per costruire una filiera brassicola più sostenibile.
L’agricoltura rigenerativa non è una moda passeggera, ma un insieme di pratiche concrete: migliorare la salute del suolo, aumentare la biodiversità, ridurre input chimici e restituire vitalità ai terreni agricoli. Una visione sistemica che guarda al lungo periodo e che può diventare alleata della birra nella transizione ecologica.
Agricoltura rigenerativa, la chiave per la competitività del Made in Italy
Per Carlsberg Italia, la birra nasce prima di tutto dalla terra, ed è da questa consapevolezza che nasce l’impegno verso un cambiamento profondo. Il gruppo ha dichiarato l’ambizioso obiettivo di ottenere il 30% delle materie prime da pratiche rigenerative entro il 2030, puntando al 100% entro il 2040. Un progetto che si traduce non solo in un beneficio ambientale, ma anche in opportunità economiche per gli agricoltori e in un impatto positivo lungo tutta la catena del valore: per ogni dipendente diretto, si generano 35 posti di lavoro nell’indotto, per oltre 6.000 occupati complessivi nel solo 2024.
Come ha evidenziato Maria Chiara Gadda, vicepresidente della XIII Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, il caso Carlsberg dimostra che è possibile internazionalizzare le imprese mantenendo un forte radicamento territoriale. Rafforzare filiere locali, come quella emergente del luppolo italiano, è fondamentale per costruire un’agricoltura resiliente, innovativa e autenticamente Made in Italy.
Anche Christian Garavaglia, docente dell’Università Bicocca, ha sottolineato il potenziale economico del cambiamento: il 21% dei consumatori di birra è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, aprendo la strada a un mercato sensibile alla qualità ambientale e sociale delle materie prime.
Sguardo al nord: il modello danese per un brindisi consapevole grazie all’agricoltura rigenerativa
La Danimarca, patria del gruppo Carlsberg, offre un esempio virtuoso: grazie a un accordo tra governo, agricoltori e società civile, è stato possibile creare incentivi reali per ridurre le emissioni e migliorare la resilienza agricola. I risultati? Risparmi fino a 310 euro per ettaro, dimostrando che sostenibilità e redditività possono andare di pari passo.
L’agricoltura rappresenta l’11% delle emissioni europee di gas serra, e nel caso di Carlsberg il 20% dell’impronta climatica arriva proprio da qui. Cambiare paradigma agricolo è quindi una necessità, non solo ambientale ma anche industriale. Come ha dichiarato Olivier Dubost, managing director di Carlsberg Italia: «Il nostro contributo al Made in Italy parte dal suolo».
In questo contesto, la birra può diventare un simbolo di rinascita. Un prodotto della terra che non solo disseta, ma racconta un modo diverso di coltivare, produrre e consumare. Sostenere l’agricoltura rigenerativa non è più un’utopia: è la ricetta per un futuro dove la qualità non scende a compromessi con l’ambiente.
E allora sì, il futuro della birra è nel suolo. E quel brindisi, oggi, ha un sapore ancora più buono.