Come cambia l’export del cibo italiano con la Brexit

Alcuni se lo auguravano, tanti altri non se lo sarebbero mai aspettato. Il referendum che ha chiesto ai cittadini inglese se restare o uscire dall’Unione Europea ha dato un risultato chiaro, che già tutti noi sappiamo. Ma questo cambiamento cosa comporta per loro (e per noi) sotto il punto di vista del cibo? I londinesi potrebbero, d’ora in avanti, faticare a trovare negli scaffali dei supermercati e nei piatti dei ristoranti molti prodotti finora comuni. Ciò è dovuto alla rinegoziazione dei rapporti commerciali con l’UE. Senza agevolazione su dazi e scambi, la Gran Bretagna potrebbe innalzare barriere doganali, compromettendo gravemente l’export verso il loro Paese dei prodotti made in Italy.
 
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Solo pochi mesi fa è arrivata la notizia che il Regno Unito è diventato il primo mercato mondiale per lo spumante italiano (in prima posizione troviamo il Prosecco): questi numeri sono destinati a cambiare, complice l’immancabile innalzamento dei prezzi. Lo stesso discorso può essere esteso ai formaggi. Le esportazioni italiane sono cresciute del 7,8% su base annua nel 2015, e riguardano soprattutto mozzarella, Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Gorgonzola.
 
Con la vittoria dell’addio all’Unione Europea, costerà di più anche l’ortofrutta, soprattutto i pomodori e gli agrumi che la Gran Bretagna importa soprattutto da noi e dagli Spagnoli. Lo stesso varrà anche all’incontrario: gli oltre 60 prodotti con denominazione PDO (protected designation of origin), il corrispondente delle nostre DOP, subiranno aumenti, ma è ancora presto per dire in quale misura. Ciò che resta è che, fino a pochi giorni fa, l’Italia aveva, nel Regno Unito, il quarto sbocco estero per il comparto alimentare, con un valore delle importazioni che superava i 3 miliardi di euro.