La carenza di personale è segno di un’estate in fuga dalla ristorazione?

Emiliano Citi

Emiliano Citi

Secondo gli ultimi dati, anche durante questa estate 2023 post-Covid, post crisi dei rincari e con l’inflazione che finalmente ha rallentato, il settore ristorativo affronterà di nuovo una carestia di personale: mancano all’appello, infatti, almeno 150.000 unità.

Secondo Luciano Sbraga, diretto dell’ufficio studi Fipe-Confcommercio «Da aprile ad agosto di quest’anno noi imprese della ristorazione dovremmo assumere circa 235mila addetti, tra stagionali e tempo determinato. Ma in quasi il 40% dei casi ci saranno dei problemi di reperimento del personale, per mancanza di candidati e di profili adeguati.» Sempre secondo i dati, la figura più ricercata è quella del cameriere di sala per il quale le imprese stanno cercando circa 55mila persone.

carenza personale

Continua la crisi della mancanza di personale nella ristorazione

Seguono poi cuochi e aiuto cuochi (circa 30.000), banconieri di bar (15.610), banconieri di gelateria (10.040). Insomma, continua, senza segni di rallentamento, l’emorragia di talenti dal nostro settore. Ho sempre l’impressione che per quanto stia crescendo la consapevolezza imprenditoriale del comparto, per esempio scegliendo la giusta veste societaria (S.r.l.) o dando la priorità necessaria all’aspetto economico-numerico (stilando budget e avendo come stella polare il punto di pareggio), nei confronti delle risorse umane esista ancora un atteggiamento stantio e non al passo con i tempi.

Se nel resto d’Europa, infatti, grazie alla maggior presenza di corporazioni e multinazionali, la situazione della forza lavoro è più regolamentata, in Italia si ricorre ancora troppo all’economia informale. È chiaro che questa esiste e sempre esisterà in ogni parte del mondo, ma solo la ristorazione italiana è un settore che in larga parte si regge su fondamenta così fragili e poco meritocratiche. E questo si traduce non solo nella mancanza di talenti, ma in una reputazione di categoria che colpisce anche i ristoratori onesti e interessati a sviluppare il proprio business in linea con i tempi e l’economia.

Contratti, orario, turnazioni per un “nuovo stile di vita e di lavoro”

Conosco personalmente molti imprenditori della ristorazione che osservano i volti esterrefatti di potenziali dipendenti quando comunicano loro che sì, avranno un contratto regolare, che tutte le ore in più verranno pagate in busta e che avranno un giorno libero anche nei momenti di maggiore lavoro.

Basta solo immaginare quanti potenziali talenti appassionati neanche scorrono l’occhio sugli annunci online riguardanti la ristorazione: sanno già che quella sarà una fregatura. E questo azzoppa anche gli imprenditori visionari, quelli che immaginano una ristorazione diversa. Perché a tutto questo, dobbiamo aggiungere la rivoluzione culturale portata dal Covid.

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In quel frangente così drammatico, decine di migliaia di operatori del settore ristorativo hanno realizzato che continuavano il loro lavoro quotidiano solo per assuefazione. Una volta fermi, hanno riassaporato le sere passate in famiglia e le festività. Insomma, lo stile di vita della maggior parte della popolazione. Se questo è un sacrificio insito nell’ospitalità, dobbiamo anche immaginare futuri diversi e più in linea con il mercato del lavoro: turnazione nel weekend, stipendi in linea con il sacrificio ecc. Perché se seguiamo la legge del mercato, se poche persone sono disposte a questi sacrifici, è necessario pagarle il dovuto.

Innovare per attirare personale nella ristorazione

Purtroppo, il terrore dell’innovazione è congenito in molti imprenditori della ristorazione. Per questo si sono incolpati mezzi come il reddito di cittadinanza che, al di là della valutazione politica, sulla quale non entro nel merito, non possono fare concorrenza a un vero lavoro nella ristorazione. La soluzione non sta nell’affamare i potenziali talenti e costringerli per disperazione ad accettare il lavoro, perché i talenti, se lo sono davvero, migreranno verso altri settori o nazioni. Rimarranno solo i disperati e le disperate, senza alcuna qualifica, che mai avranno a cuore il destino di una qualsiasi azienda.

Pensiamo davvero che sia questo il futuro della ristorazione?

I numeri dimostrano che il percorso che il settore ha intrapreso negli ultimi anni è fallimentare. A questo punto abbiamo solo due alternative: continuare su questa strada e assistere al lento morire del tipico ristorante italiano a gestione familiare in favore di catene e multinazionali, o dobbiamo avere il coraggio di cambiare, creando posti di lavoro attrattivi. Dobbiamo investire nella formazione e nella crescita dei nostri talenti, senza aver paura che scappino verso altre proposte di lavoro. Solo in questo modo sarà possibile ricostruire un tessuto professionale di alto livello.

I prezzi dovranno aumentare di conseguenza?

Così sia. La tendenza è già in atto da decenni. Non saremo certo noi a fermarla. Ma è possibile seguirne la corrente, in modo che la ristorazione italiana torni a essere un’eccellenza, non solo in cucina, ma anche nella valorizzazione dei talenti. Perché ricordiamoci qual è l’altro annoso problema che affligge i nervi e corpi dei ristoratori italiani: l’essere murati vivi all’interno della loro attività.

Ogni giorno ascolto uomini e donne adulte in preda alla disperazione perché non posseggono più una vita al di fuori del lavoro. La soluzione è a portata di mano: formare i propri talenti perché assurgano al ruolo di manager operativi. Queste sono le questioni fondamentali del nostro settore, una legata indissolubilmente all’altra. Partiamo dal tornare attrattivi, dal posizionarsi e dal fidelizzare.


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