Delivery: un servizio o un lusso per ristoranti e consumatori?

È stato un servizio che ha aiutato la ristorazione durante la pandemia, ma oggi il delivery sta diventando sempre più pesante per i pubblici esercizi che lo hanno adottato. Ormai è un servizio che sempre meno consumatori possono permettersi. Il traporto è diventata una vera e propria “tassa sul lusso“.

Affidandosi alle piattaforme di delivery si rischia di pagare dal 30% al 50% in più rispetto alla consumazione al ristorante. Questo sta succedendo perché i ristoranti si trovano a dover pagare commissioni salate alle app di prenotazione per la consegna a domicilio.

Una tassa che pesa sui ristoratori

La consegna a domicilio è diventata una vera e propria tassa di lusso sia per i consumatori e che per i pubblici esercizi della ristorazione. Sono 19mila su 220mila le attività che si avvalgono di questo servizio. La commissione in questione si aggira intorno al 18,2%. Come riporta un’indagine Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), per un ristoratore su tre il costo della prenotazione della consegna a domicilio tramite app supera il 20%. 

A causa i costi elevati, è un servizio che in pochi possono concedersi. 

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Un servizio di successo nell’era delle restrizioni

Come è esplosa questa abitudine delle app di delivery? Con le restrizioni dovute alla pandemia, piattaforme online di consegna a domicilio (per esempio Deliveroo, Just Eat, Glovo e Uber Eats) sono diventate l’unico strumento di vendita per ristoranti, pizzerie, bar, fast food, insomma per tutte le attività di ristorazione che non potevano lavorare. Con l’affievolirsi dell’emergenza pandemica il flusso del delivery è aumentato.

Qualche dato: nel 2022 la consegna a domicilio ha mosso 1.8 miliardi di euro, con un aumento del 20% rispetto al 2021.

Una crescita del 20% solo in Italia

«Il 45% delle imprese della ristorazione che ha iniziato ad utilizzare le piattaforme digitali per l’asporto durante la pandemia si è aperto uno spazio di mercato altrimenti sconosciuto, che ha consentito anche lo svolgimento di una funzione sociale. Tuttavia sarebbe opportuno riequilibrare i rapporti tra piattaforme e imprese al fine di non imporre oneri eccessivi a queste e ai consumatori». Così ha commentato il presidente di Inapp Sebastiano Fadda. Questi accordi hanno fatto aumentare il fatturato delle tre piattaforme leader per la consegna a domicilio a circa 358 milioni di euro. Chissà quale sarà il dato 2022, dato che il mercato italiano è cresciuto del 20%, nonostante l’aumento incontrollato dei prezzi.

In tutto questo, quale profitto ha portato il delivery ai ristoranti?

E per i ristoranti, c’è stato profitto? Sì, anche se solo del 2%, ma non per tutti. Ci sono infatti varie problematiche:

  1. il costo delle commissioni da pagare;
  2. la gestione degli incassi: gli incassi vengono emessi dopo tempo dalle piattaforme;
  3. le informazioni sui propri clienti che rimangono in mano alle piattaforme. Si stima infatti che il 32% dei locali ha perso la fiducia dei consumatori per i disservizi delle applicazioni.

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Secondo File, il delivery è uno strumento speculativo

«Quello del food delivery è un sistema che senza dubbio risponde alle aspettative e alle necessità del mercato, con il Covid che ha acceso i riflettori su questa nuova opportunità. Da ristoratore e imprenditore credo che, però, l’esperienza del cibo continui a rimanere al ristorante. La consegna è un valore che non viene riconosciuto dal mercato. Il servizio deve essere pagato e riconosciuto anche dal consumatore. Bisogna farlo comprendere. La responsabilità è delle piattaforme e di chi usufruisce di questo servizio: servono dignità, spazi e servizi per i rider. Le città dovrebbero creare degli spazi adibiti a questi fattorini, che devono andare in bagno e lavarsi le mani… e non lasciarli in mezzo alla strada». ha commentato Aldo Mario Cursano, vicepresidente di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi. 

 


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