Fare nero in un’attività di ristorazione. Conviene o non conviene?

Emiliano Citi

Emiliano Citi

Dietro ai fornelli di un ristorante c’è un mondo che neanche si immagina. Spesso si trovano cuochi, lavapiatti, barman che lavorano sottopagati e senza alcuna tutela. Fare nero rappresenta, purtroppo, il lato occulto della ristorazione. Questa forma di pagamento, oltre alla sua illegalità, impedisce di gestire i numeri di un ristorante, condannandolo a dover navigare sempre a vista, senza una visione o una prospettiva imprenditoriale. In questo approfondimento, ribadirò che questa strada è la peggiore per portare alla rovina un locale.

La ristorazione oggi

La crisi degli ultimi mesi, dovuta a Covid-19, ha spostato l’attenzione sul mondo della ristorazione, scoprendo alcuni nervi che già facevano parte di problemi irrisolti e di dinamiche controverse. Gestire un ristorante è diventato, ormai, un problema di enormi dimensioni. Nell’ambiente se ne parla tanto e non c’è imprenditore che non si lamenti. Il mercato della ristorazione è cambiato e non ci si può più improvvisare, bisogna avere una preparazione imprenditoriale adeguata.

Questo va ribadito perché molte persone credono che avviare un locale, aprire un bar, prendere in gestione una pizzeria sia la cosa più semplice di questo mondo: “Come cucino le lasagne io, non le prepara nessuno…” oppure “Cosa ci vuole a gestire un bar? Stai al bancone, prendi le ordinazioni, servi un caffè, batti lo scontrino, incassi e stop!”. Purtroppo, questo è un pensiero molto diffuso: con i problemi di occupazione che coinvolgono il nostro Paese, molti italiani pensano di poter svoltare intraprendendo questa strada. Come se fare il ristoratore sia il mestiere più facile del mondo. Ma non sanno che i loro problemi devono ancora incominciare, trasformandosi in certi casi in veri inferni finanziari, economici ed esistenziali.

Parlando in modo diretto: la maggior parte dei bar, pizzerie, trattorie e di qualsiasi altro tipo di realtà ristorativa muore nei primi 5 anni di vita. Il motivo è semplice: si sottovalutano gli impegni e le responsabilità. Molte persone credono di guadagnare in questo settore limitando al minimo gli sforzi e ricorrendo a strade illecite. Ci vuole motivazione e competenza per lanciarsi in questa carriera ed è per questo che, come consulente, tendo spesso a scoraggiare chi mi dice che vuole avviare un’attività.

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Fare nero: il pensiero del ristoratore

Se si provano a comprendere le cause di un fenomeno tanto diffuso, dal lato dei datori di lavoro, emerge che hanno scelto di ricorrere alla manodopera in nero per: avere una risorsa in tempi brevi e per la difficoltà nel far quadrare i conti.
Infatti soffermandoci sull’ultimo punto, se si entra in un qualsiasi locale e si chiede al titolare come vanno gli affari, la risposta è sempre quella: «Siamo in piena crisi da anni, una difficoltà che ha solo fatto aumentare i costi, diminuire i clienti e gli incassi».
Inoltre, confermano sempre che il costo del personale è aumentato in modo esponenziale e che non ci si può più permettere di avere i dipendenti di un tempo. Oltre a questi aggiungono le tasse che risultano impossibili da pagare. Sono argomenti che toccano tutti, all’ordine del giorno.

Le soluzioni dannose

Di fronte a queste difficoltà, ecco spuntare soluzioni che producono solo danni. E, appunto, tra queste rientra: fare nero. Molto spesso è il commercialista a consigliare questa scelta e ciò è ancora più grave. Prima il mercato della ristorazione era molto ricco, ma perdendo caratura nel tempo ha portato gli operatori del settore a volersi difendere, cercando di sottrarre somme all’erario. Ma in realtà, non appena si effettua il primo incasso senza regolare scontrino, inizia il primo passo verso l’agonia.

La via per l’agonia

Scegliere questa soluzione, porta inevitabilmente alla rovina. In questo ordine:

– si omette il 30% di scontrini in nero portando ad accumulare una somma di contanti;

– nel frattempo, anche il 30% dello staff è in nero;

Ben presto questi aspetti, che sembrano positivi, si trasformano in un disastro.

– Le vendite in nero di quel 30% fanno lievitare le giacenze di magazzino del 30%. Ovvero, si dispone della giusta quantità di materie prime per lavorare, ma sulla carta queste continuano a crescere. A questo punto, il commercialista consiglia per stabilizzare la dispensa di comprare altrettanta merce in nero.

– Per fare ciò, bisogna dare fondo ai risparmi ottenuti in modo irregolare. Inoltre, nessuno dei fornitori consegna, di fatto, prodotti in nero: in genere battono uno scontrino (che non consegnano) illudendo di non pagare l’IVA.

Passando al personale non regolarizzato:

– avere membri dello staff non in regola espone il titolare a rischi altissimi.

Da qui si generano altre complicazioni:

– il personale non contrattualizzato non si può pagare con i soldi dell’azienda, ma con gli incassi in nero del locale dando fondo ai risparmi raccolti che finiscono per restare solo nelle tasche dei dipendenti. Magari quel denaro nemmeno basta, quindi si è costretti ad aumentare le vendite irregolari: come un cane che si morde la coda;

– i dipendenti possono rivolgere qualsiasi vertenza sindacale (non solo durante il lavoro, ma anche dopo il licenziamento);

– si è esposti a grandi difficoltà in caso di infortuni (frequenti per lo stress e i ritmi incalzanti che caratterizzano l’ambiente delle cucine).

Per far guadagnare un ristorante: non si deve fare nero. No. Si entra in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Il nero in un’azienda deve essere solo un colore, se si è obbligati a ricorrere all’irregolarità vuol dire che il modello di business fa acqua da tutte le parti. Per dormire sonni tranquilli e vedere risultati tangibili nelle proprie tasche, bisogna strutturarsi. I ristoranti che funzionano, quelli che fanno i soldi, sono quelli che seguono un metodo che genera utili e che non fanno un euro di nero.


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