Fenomeno “no show”: perchè oggi è ancora più grave

Nel mondo della ristorazione è comune la maleducata abitudine definita “no show”. A chi non è mai capitato di ricevere una prenotazione per un tavolo e non vedere arrivare nessuno? Lasciando così un tavolo vuoto per tutta la serata e, il conseguente, mancato guadagno.
 
È fenomeno che già di per sé mette in difficoltà il ristoratore. Che deve comunque sostenere i costi fissi per locali e personale, nonché le materie prime già impiegate. La situazione si aggrava ulteriormente al tempo del Coronavirus. Riaprire dopo il lockdown, per la maggior parte dei ristoratori, non è stato facile. In più le nuove normative hanno imposto a tutti i locali pubblici di ridurre il numero dei propri coperti. E il danno di un tavolo rimasto vuoto si è amplificato.
 
In un momento delicato in cui il settore, secondo Fipe, vede ancora perdite del 40% nonostante un leggero recupero, c’è chi manca di rispetto a chi di sacrifici ne sta facendo. Troviamo chi si dimentica della prenotazione. O chi disdice all’ultimo. Chi proprio se ne frega. O chi si vergogna di telefonare. Ma non da ultimo, chi sfortunatamente ha avuto un imprevisto.
 
Dai ristoranti stellati e fine dining, alle pizzerie e trattorie il fenomeno non si arresta neanche al tempo del Coronavirus. Un esempio eclatante è capitato allo chef britannico Tom Kerridge titolare di Hand and Flowers, il pub a due stelle Michelin con una cucina da un’evidente cifra tecnica. Lo Chef non ha visto arrivare il gruppo di 27 persone che aveva prenotato presso il Kerridge’s Bar & Grill situato all’interno dell’Hotel Corinthia di Londra. E ha sfogato il suo malumore con un post su Instagram.
 
Un danno economico, e morale. Soprattutto durante le fasi caratterizzate dalla pandemia. Dove lottare per sopravvivere è diventata un’attività di routine. Per contrastare il fenomeno, le armi a disposizione dei ristoratori sono varie a seconda della categoria di locale. Molti ristoranti utilizzano il metodo dell’sms come promemoria o della chiamata per accertarsi della futura presenza degli ospiti e cogliere così l’occasione per informarsi su allergie e intolleranze varie.
 
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Cosa fare contro il “no show”

 
Molte trattorie e pizzerie, invece, ricorrono all’overbooking. Soluzione però non adatta ai ristoranti stellati e fine dining, nei quali se una prenotazione non viene disdetta per tempo, il tavolo non è più vendibile. Per questo motivo, molti ristoranti gourmet al momento della prenotazione richiedono il numero di carta di credito per bloccare la prenotazione e, in caso di mancato preavviso, il ristoratore può decidere di applicare una piccola sanzione direttamente sulla carta di credito indicata.
 
Altra soluzione tra i ristoranti più “blasonati” è il pagamento anticipato della degustazione. Per esempio Christian Bau del ristorante tre stelle Michelin Victor’s Fine Dining a Perl in Germania, al momento della prenotazione trattiene 200 euro per ogni ospite dalla carta di credito. Oppure il ristorante stellato Le Calandre dei F.lli Alajmo richiede il pagamento anticipato per i Carpe Diem, finestre temporali nelle quali propone menù degustazioni scontate.
 
Anche le prenotazioni online sembrano un aiuto per contrastare il vizio del “no show”. Alcune piattaforme digitali di servizi del settore permettono di gestire le prenotazioni inviando un promemoria al cliente, il quale con un solo click può disdire il tavolo in tempo per essere rivenduto.
 
Per combattere il “no show”, è stata introdotta la modalità prenotazione con carta di credito a garanzia dei ristoranti con un target di livello medio alto. Mentre vengono segnalati i clienti poco disciplinati che, più volte in passato, non si sono presentati al ristorante. La voce contro il “no show” arriva anche dai ristoratori che non smettono di trovare soluzioni per tutelarsi.
 
C’è chi suggerisce di far pagare un ticket di prenotazione ai clienti, come succede per i concerti o gli spettacoli teatrali. E ancora creare una black list condivisa. Oppure, come succede all’estero, alla disdetta last minute non far pagare la penale, ma trasformarla in un buono da consumare entro una determinata data.
 
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