Grissino o rubatà? L’angolo del pane nella ristorazione

Piergiorgio Giorilli

Piergiorgio Giorilli

Grissino o rubatà?

Lo trovi subito al tavolo del ristorante sulla tavola apparecchiata. Nel contenitore di forma allungata e, per la maggior parte, in confezioni da due pezzi. Poterlo preparare in proprio, magari con aggiunta di altri ingredienti, sarebbe un valore aggiunto per il cestino del pane.

Parliamo del grissino, piemontese per eccellenza ed apprezzato in tutto il mondo. Non tutti però sono a conoscenza che esistono due tipi di grissino in base alla metodologia di lavoro. Si tratta del grissino e del rubatà e sarà sicuramente interessante riprenderne la storia spiegando anche la differenza fra i due.

Come sono nati i grissini?

“La storia narra che un panettiere piemontese, tale Antonio Brunero, nel 1668 fu invitato dal Dott. Pecchio di Lanzo, medico personale del piccolo Vittorio Amedeo II di Savoia, di due anni e con problemi allo stomaco, a preparare un pane che fosse molto leggero e facile da digerire. Il Signor Brunero pensò allora all’impasto della ghërsa, pane tradizionale piemontese.

grissino rubatà

Gli diede la forma di un bastoncino grosso come un dito ottenendo così un pane con poca mollica e con una crosta croccante ed abbondante: il “ghersin” da cui deriva il termine grissino.

La ricetta dei grissini

Per ottenere il grissino si fa un impasto con farina, acqua, materia grassa (strutto, burro o olio d’oliva) e poco sale (un terzo della quantità utilizzata per un pane normale). La pasta viene tagliata in bastoncini di qualche centimetro di spessore che, presa con la punta delle dita, viene tirata in modo leggero e graduale e fatta oscillare fino ad ottenere un bastoncino della lunghezza delle braccia del panettiere e di mezzo centimetro di spessore. Lo si lascia cadere su un’asse spolverata con farina di riso. Si infornano i grissini direttamente, a 250° C, dopo qualche minuto solamente essi sono cotti, hanno il colore delle spighe mature e hanno preso una forma leggermente curvata che è la loro caratteristica. Una volta tolti dal forno, i grissini sono rotti in pezzi da 25 cm di lunghezza e messi in un paniere di vimini.

Napoleone I era molto goloso di grissini. Talmente goloso che invitò a Parigi alcuni panettieri torinesi per far loro preparare i grissini. Pare non ci riuscirono, a causa dell’acqua… o dell’aria di Parigi. I grissini vennero così inviati ogni giorno all’Imperatore direttamente da Torino. I piemontesi erano molto conosciuti all’epoca, anche per il loro pane.
Li amava molto anche la moglie di Napoleone, Maria Luisa. Li mangiava sbriciolati nel brodo tanto che, quando diede alla luce il re di Roma, le furono serviti, dopo il parto in una tazza in porcellana di Sèvres, un regalo fatto da Napoleone alla moglie. Questa tazza, (dell’accouchée) ancor oggi, è esposta al Museo Glauco Lombardi di Parma.

E il rubatà?

Ma esiste anche un altro tipo di piccolo bastoncino di Torino che si chiama “rubatà”. Ha lo stesso impasto del grissino ma viene arrotolato a mano per renderlo più consistente e saporito”.

La data di nascita del grissino non è molto certa. Nel 1969 la guida gastronomica italiana del Touring Club pubblicò un articolo secondo il quale nel 1643 il frate fiorentino Vincenzo Rucellai passando per Chiasso alla volta di Parigi, “scopri una sorta di pane molto lungo e molto sottile”. Ad ogni modo il grissino dal XVII Secolo è conosciuto ed apprezzato su tutte le tavole.


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