Il valore del nome: perché la protezione del marchio nella ristorazione è una strategia vincente

Avv. Ilaria Gargiulo

Il valore del nome: perché la protezione del marchio è una scelta strategica

In settori competitivi come quello della ristorazione, la scelta del nome di un’attività, così come di un singolo locale, non è soltanto un fatto estetico o creativo: è una decisione ancor più strategica rispetto ad altri settori, che incide sulla capacità di quella attività di distinguersi nel mercato e generare valore anche attorno al proprio segno distintivo.

Il nome – e più in generale il marchio – rappresenta infatti il primo elemento di riconoscibilità dell’attività e può costituire un asset fondamentale per l’impresa, ad esempio, per l’accesso a finanziamenti o linee di credito, in caso di cessione dell’attività, affitto di ramo d’azienda o sviluppo in franchising.

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Il marchio come diritto esclusivo

Ai sensi dell’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), può costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa (e può quindi essere un marchio) qualsiasi segno idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

La registrazione conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietarne l’uso a terzi per prodotti o servizi identici o affini, quando possa derivarne un rischio di confusione per il pubblico (art. 20 CPI).

Il rischio di confusione comprende anche il rischio di associazione tra i due segni e quindi non sussiste solo quando i consumatori ritengano che i prodotti provengano dalla stessa impresa, ma anche quando possano ipotizzare un collegamento economico tra le imprese (ad esempio, un rapporto di partnership).

Tale rischio è particolarmente elevato in un settore come quello della ristorazione, dove i marchi sono spesso utilizzati oralmente e la somiglianza fonetica può determinare una effettiva confusione.

Come si valuta il rischio di confusione

L’accertamento del predetto rischio di confusione tra segni distintivi viene condotto attraverso una valutazione globale e sintetica, basata cioè sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in conflitto.

La valutazione deve considerare gli elementi distintivi e dominanti dei marchi, le somiglianze visive, fonetiche e concettuali, il grado di notorietà del marchio anteriore e l’identità o affinità tra i prodotti o servizi.

La giurisprudenza nella ristorazione

Nel settore della ristorazione, la giurisprudenza tende ad applicare questi principi con particolare rigore proprio per le peculiarità dello stesso.

In tal senso, il Tribunale di Milano, con la recente sentenza n. 25/2025, ha ricordato che il consumatore medio non ha la possibilità di confrontare direttamente i marchi, ma si affida al ricordo mnemonico imperfetto.

Per questo motivo è stato ribadito che gli elementi verbali hanno nella valutazione un valore dominante rispetto a quelli figurativi, essendo i primi più facilmente memorizzabili o ancora che la collocazione degli elementi comuni tra i marchi a confronto nella prima parte degli stessi ha particolare peso, essendo questa la parte che rimane maggiormente impressa nella mente dei consumatori.

Al contrario invece, non rileva ai fini dell’esclusione del rischio di confusione l’esistenza nel mercato di altri marchi con elementi comuni, non essendo ciò di per sé idoneo a dimostrare la riduzione del carattere distintivo di un marchio anteriore nell’ambito di un contenzioso.

Marchio forte e marchio debole: la differenza strategica

A tal riguardo, è poi fondamentale comprendere la differenza tra marchio forte e marchio debole: il primo è dotato di elevata capacità distintiva, perché frutto di fantasia o originalità; il secondo, invece, si limita a descrivere caratteristiche del prodotto o servizio e gode quindi di una tutela più limitata.

Scegliere un marchio originale sin dall’inizio non solo rafforza la tutela legale, ma consente anche di posizionarsi con maggiore efficacia sul mercato.

È vero infatti che, come stabilito anche dalla Cassazione n. 272/2025, anche un marchio debole (o quanto meno che nasce come tale) può essere tutelato quando il segno successivo adotta mere varianti formali, inidonee a escludere la confondibilità, ma la scelta di un marchio forte a monte semplifica la vita dell’imprenditore nell’uso e nella tutela dello stesso, dalla scelta di procedere con la registrazione sino alle eventuali contestazioni contro eventuali contraffattori.

Nomi descrittivi o generici, come “Pizzeria Italiana” o “Ristorante del Centro”, non potranno infatti essere registrati perché privi di capacità distintiva né tantomeno monopolizzati da un solo operatore.

Il marchio registrato come asset aziendale

Un marchio originale, distintivo e registrato è quindi un importante asset aziendale. Non si tratta solo di protezione legale preventiva, ma di una scelta economicamente rilevante: un marchio tutelato può essere valorizzato a bilancio, ceduto a fronte di corrispettivo o concesso in licenza per entrare in settori merceologici ulteriori rispetto a quello di propria provenienza.

La strategia di registrazione per la protezione del marchio

In tal senso, quindi, è bene prevedere nei primi step successivi alla scelta del nome (sia ad avvio attività, che in caso di rebranding), il confronto con un professionista specializzato circa la distintività del segno scelto per valutarne la proteggibilità (almeno in astratto) e quello della ricerca di anteriorità prima di procedere con la protezione del marchio per verificarne la disponibilità rispetto ai marchi già in uso e/o registrati.

Registrazione che dovrà essere effettuata secondo una precisa strategia studiata per la specifica attività sia in termini di territori che di classi merceologiche da rivendicare nella domanda di marchio.

Le registrazioni, infatti, hanno effetto solo nel territorio in cui vengono effettuate e non esiste una registrazione che automaticamente copre tutti i paesi del mondo (salvo eccezioni per alcuni gruppi di paesi, qual è per esempio il marchio dell’Unione Europea che con un solo deposito garantisce protezione al segno in tutti i paesi dell’Unione).

Quanto alle classi invece, non potendosi più rivendicare gli interi elenchi della Classificazione di Nizza come accadeva in passato, è bene fare un ragionamento di medio-lungo periodo che preveda la rivendicazione di classi e specifici prodotti/servizi in ciascuna classe che coprano l’attività di impresa nell’immediato, ma anche le possibili espansioni prevedibili o auspicabili in 3/5 anni considerato che, una volta concesso, il marchio dura 10 anni dalla data di deposito (e le tasse agli uffici si pagano solo in sede di deposito e coprono l’intero periodo ora indicato).

In questo modo, infatti, si riesce a ottimizzare l’investimento iniziale in termini di spesa garantendosi una tutela sufficientemente ampia – ma non esagerata (comportando questa poi rischi qual è quello della decadenza per non uso) – per creare valore attorno al proprio segno distintivo.


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