Classe 1985, Marco Lagrimino, viterbese di nascita, ha viaggiato molto prima di tornare a casa: dalla Germania a Londra, nella cucina di Nobu a Berkeley Street, dove impara la filosofia della cucina fusion tra oriente e occidente; poi da Sketch, uno dei locali di Pierre Gagnaire, dove apprende i segreti del pesce; poi Heston Blumenthal, nel suo ristorante tradizionale inglese Dinner, infine è la volta di Anna Hansen nel suo Modern Pantry, come suo sous chef.
In Italia lavora con Vito Mollica al Four Seasons ed Entiana Osmenzeza al Gurdulù, prima di aprire il suo Momio a Firenze, che lo farà conoscere alla critica; per poi passare alla gestione della parte gastronomica del Castello di Volpaia (Osteria, Forno e Agriturismo), nel Chianti Classico. Le esperienze estere collezionate portano allo chef delle forti basi di classicità francese alle quali si aggiungono le influenze cosmopolite apprese durante esperienze nel sud est asiatico e a Cipro, oltre a quelle Londinesi.
In merito alla sua Stella Michelin ha detto: “È stata una bella sfida quella di portare una nuova stella a Perugia, che da almeno una ventina d’anni non era presente” racconta lo chef Marco Lagriminio. “E la sfida è stata quella di creare un ristorante gourmet in una zona di periferia dove normalmente non ti aspetteresti di trovare una stella Michelin. Speriamo che questo sia il primo passo per riqualificare un po’ la zona, un punto di partenza per chi lavora nella ristorazione in Umbria, una motivazione per fare di meglio, penso infatti che la Regione verde d’Italia nel futuro potrà ambire ad altre stelle”.
È sulla ricerca della qualità, supportata dalla vicinanza dei produttori locali, che poggia la filosofia de L’Acciuga, il cui nome è emblema di pesce povero, che storicamente arrivava dal mare alla campagna, a farsi sostituto del sale. L’Acciuga è una sfida, quella di creare un ristorante gourmet nella periferia italiana, alla portata di tutti. All’Acciuga si compie un vero e proprio viaggionella galassia dei produttori locali, che diventano alleati per proporre una ristorazione umbra gastronomica. Se la tradizionetramanda ricette povere, ma sempre succulente e opulente, l’obiettivo dell’Acciuga è farsi custode delle migliori materie prime che, seguendo il ritmo della stagionalità, vengono portate nel presente con modernità e leggerezza, con la memoria del passato e il rispetto della natura.
Il focus della cucina di Lagrimino è la materia prima, per cui fondamentale è la fase di selezione giornaliera dei migliori ingredienti nei mercati o direttamente dai contadini locali indipendenti, per conoscere da vicino i loro prodotti. Marco Lagrimino è appassionato al mondo dei vegetali e delle erbe aromatiche.
Il menu degustazione de L’Acciuga è “Fidarsi, espressione della creatività dello chef Marco Lagrimino, e al suo fianco la carta, che varia a ogni stagione. Un’alternanza di note vegetali e animali con spunti di freschezza per l’antipasto “Capasanta e Nasturzio”: la capasanta scottata sul carbone con il nasturzio infuso in olio locale a cui si abbinano le tipiche pesche umbre, mandorle amare tostate e tritate, a dare croccantezza e contrasto. Le canocchie arrivano da una cooperativa di pescatori di Terracina che si serve di cassette di plastica riutilizzabili al posto del polistirolo. Sono scottate e laccate con la glassa dei carapaci, quindi abbinate a una spuma di cipollotto, gelato al caprino e crumble di bucce di cipolla.
Tra i primi piatti studiati dallo Chef Lagrimino, c’è lo Spaghetto alla chitarra, composto di soli albumi, mantecato con fondo di pomodoro costoluto arrostito e lemongrass, e portato a riduzione per raggiungere il puro umami. Il classico abbinamento con il formaggio vede qui comparire una robiola di capra lavorata con kefir a dare freschezza e incisività di sapore, e da ultima una riduzione di pomodori ciliegini gialli centrifugati. Fuori dagli schemi la Calamarata, abbinata a un burro al vino (sulla falsa riga della salsa beurre blanc, con vino bianco, scalogno e aceto), fondo di manzo e ostriche. Servita tiepida, stupirà per il rincorrersi di note più sapide, intervallate da accenti ora freschi, ora più morbidi, amplificati dal bel morso della pasta spessa.
Tra i secondi il Morone, marinato, grigliato e laccato con mosto cotto. Il suo contorno è un peperone in tre consistenze: una crema montata con Vermouth, una falda intera grigliata e un’acqua di peperone, rifinito con semi di senape. Complesso e più strutturato è il Daino scottato e ripassato in padella con elicrisio. Al suo fianco una crema di carote arrosto.
Le ciliegie, ad arrotondare la carne, vengono dapprima affumicate, in parte lasciate intere e tagliate a metà, in parte centrifugate e abbinate a una base di aceto di lampone e zucchero di canna.
Tra i dessert la Torta di Noci con sedano, spuma di miele e ricotta di pecora; o ancora il Paris Brest con crema e croccante di pistacchio e purea di rosa canina. Per i palati meno classici, l’Aglione, un prodotto d’eccellenza toscano, diluito in spuma di latte, e abbinato a un biscotto di grano duro, gelato ai fiori di finocchio e polline fresco. La cucina di Marco Lagrimino può quindi definirsi umbra non per il recupero di ricette tradizionali, quanto per la riscoperta di prodotti autoctoni che hanno un mercato molto circoscritto al territorio e alla stagionalità. È quindi una cucina territoriale contemporanea, per l’utilizzo di tecniche aggiornate miste al savoir faire francese.