La tracciabilità degli alimenti: cosa dice la normativa?

Barbara Calza

Barbara Calza

La tracciabilità degli alimenti è parte di una materia molto più ampia, quella della sicurezza alimentare in generale: ne rappresenta però un elemento fondamentale grazie al quale vengono fornite ai consumatori informazioni accurate sui prodotti affinché questi possano effettuare scelte consapevoli, garantendo la circolazione di alimenti sani e sicuri grazie alla possibilità di ricostruire l’intero percorso dei prodotti, dalla materia prima al consumatore finale. Infine, come vedremo, è grazie alla tracciabilità che è possibile attuare misure tempestive, quali il ritiro dal mercato, in caso di alimenti considerati a rischio.

Tracciabilità degli alimenti: cosa dice la normativa?

Con il Regolamento Europeo 178/2002 (Reg. 178/02), a partire dal 1° gennaio 2005 la tracciabilità alimentare è diventata obbligatoria in tutta l’Unione Europea. È stato imposto a tutte le aziende alimentari e mangimistiche che operano sul territorio europeo di disporre di un sistema di rintracciabilità dei prodotti. Si è introdotto un obbligo di tracciamento del percorso di alimenti, mangimi, animali destinati alla produzione alimentare. O di qualunque altra sostanza destinata a far parte di un prodotto in tutte le fasi della catena alimentare, fino alla distribuzione.

tracciabilità degli alimenti

Qual è la differenza tra tracciabilità e rintracciabilità?

Tracciabilità e rintracciabilità, seppure in apparenza sinonimi, non hanno invece esattamente lo stesso significato:

  • tracciabilità alimentare: la possibilità di seguire, attraverso un’attenta procedura di registrazione trasparente, ogni fase del percorso produttivo (e gli eventuali controlli) di un alimento, da monte a valle della filiera, cioè dalle materie prime fino al prodotto finito, attraverso lotti e codici prodotto assegnati durante ogni fase del processo e ulteriori opportune informazioni. Questo insieme di informazioni costituisce, tra l’altro, non solo una garanzia di sicurezza e genuinità. Ma anche di originalità del prodotto, andando di fatto a contrastare il fenomeno della contraffazione;
  • rintracciabilità: la ricostruzione a ritroso del processo produttivo attraverso la documentazione precedentemente raccolta. Il poter riconoscere i passaggi che hanno portato un alimento al consumatore finale, attraverso la sua identificazione documentata che ne attesti la qualità del ciclo produttivo in maniera univoca e trasparente.

In sostanza, la tracciabilità deve documentare ogni flusso in ingresso e in uscita tra le aziende della filiera. In modo che ogni operatore del settore alimentare sia in grado di individuare il soggetto che gli ha fornito la materia prima. Potrebbe essere un’impresa agricola, un’industria di trasformazione, un commerciante o un importatore.
E il cliente diretto al quale ha venduto i suoi prodotti.

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Perché è importante la tracciabilità degli alimenti

Come si accennava, tracciare gli alimenti lungo tutta la catena alimentare è molto importante per la sicurezza dei consumatori. Non solo per consentire loro di acquistare consapevolmente. Ma anche in quanto consente alle aziende di gestire tempestivamente eventuali situazioni di pericol, minimizzando il rischio di esposizione al prodotto interessato. I sistemi di tracciabilità e rintracciabilità facilitano quindi l’identificazione e il successivo ritiro dal mercato dei cibi non sicuri. Con una precisa attribuzione delle responsabilità tra fornitori, trasformatori e distributori.

Quali sono le sanzioni

La disciplina sanzionatoria per il mancato rispetto della tracciabilità alimentare è stata fissata con Decreto Legislativo n. 190 del 5 aprile 2006, ed è proporzionata alla gravità delle violazioni.

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Le sanzioni sono tutte di tipo amministrativo pecuniario, salvo che il fatto non costituisca una fattispecie di reato punibile dal codice penale.

Le sanzioni nello specifico

  • da 750 a 4.500 euro per gli operatori che non predispongono le procedure di tracciabilità, omettendo l’identificazione dei fornitori e dei clienti;
  • da 3.000 a 18.000 euro per gli operatori che, pur essendo a conoscenza della mancanza di conformità ai requisiti di sicurezza di prodotti alimentari da essi importati, trasformati, lavorati o distribuiti, non avviano le procedure di ritiro;
  • da 500 a 3.000 euro per gli operatori che, pur avendo attivato le procedure di ritiro del prodotto alimentare a rischio, abbiano omesso, in buona fede o volontariamente, di informare l’autorità competente;
  • da 2.000 a 12.000 euro gli operatori che, a seguito del riscontro del rischio legato ad un alimento, non forniscono all’autorità competente le informazioni richieste (o negano la collaborazione con la stessa), impedendo, di fatto, di eliminare o limitare i pericoli legati al prodotto non conforme;
  • da 2.000 a 12.000 euro per gli operatori che, nel momento in cui si avvia una procedura di recall di un prodotto non conforme ai requisiti di sicurezza, non diano giustificazioni al consumatore o all’utilizzatore;
  • da 500 a 3.000 euro per il mancato avvio della procedura di ritiro dal mercato di prodotti a rischio da parte degli operatori che svolgono attività di vendita al dettaglio o distribuzione di alimenti o mangimi e che non incidono sul confezionamento, l’etichettatura, la sicurezza o l’integrità dei prodotti alimentari;
  • da 500 a 3.000 euro per gli operatori del settore dei mangimi che, dopo aver ritirato dal mercato una partita o un lotto di mangime a rischio, non provvedono a distruggerlo.

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