Le due facce del Negro Amaro

Luca Gardini

Luca Gardini

La storia del vino, della viticultura e dei suoi personaggi rappresenta una vera e propria miniera di racconti e aneddoti, oltre che di vini che poi hanno il potere di incantarci a farci appassionare a questo splendido universo. Quella del vitigno Negroamaro è indissolubilmente legata alla Puglia, e quindi al Salento. A vini rossi così come rosati. Anzi, proprio all’interno di quest’ultima tipologia, sicuramente troppo bistrattata da appassionati e critici, anche se oggi ha conquistato un suo spessore e una sua dignità un tempo non presenti, si trova una delle avventure più affascinanti legata ad un’azienda e ad un vino in particolare: parlo di Leone de Castris e del suo storico Five Roses.
 
Oggi in commercio troviamo molte versioni di vini rosati che hanno come uva di partenza il Negroamaro; ma è proprio la storia della tipologia ad essere indissolubilmente legata a questo vitigno. Infatti, il Five Roses è stato il primo rosato italiano ad essere stato imbottigliato in Italia, precisamente nel marzo del 1944. Altri tempi, un’altra viticoltura, in Italia così come in Puglia: basti pensare che le circostanze di allora fecero sì che questo vino trovò la sua prima “casa” all’interno di una bottiglia di birra! Se avrete l’occasione di essere dalla parti di Salice Salentino, dove ha sede l’azienda, vi consiglio, a questo riguardo, una visita non soltanto all’azienda, ma anche al museo che si trova al suo interno: qui troverete ben descritta, con le immagini di allora, anche la storia di questo vino naturalmente, forse il vero simbolo tuttora di Leone de Castris, ed anche un campione di quel primo curioso esemplare di Five Roses. Una storia bellissima, un pezzo di storia per capire cosa eravamo e quanti passi sono stati fatti da allora. In Puglia, così come nella viticoltura del nostro Paese.
 
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Ma che vini nascono dal Negroamaro? Certamente è un vitigno a due facce. In commercio troviamo sia vini rossi che possono sfidare il tempo in modo sorprendente, così come ovviamente versioni più quotidiane e di consumo più immediato. E naturalmente i rosati. Una doppia vocazionalità, dunque.
Quando la componente alcolica, comunque minore rispetto ad altre zone pugliesi, e la grande intensità delle note fruttate riescono a fondersi con un corpo ricco anche di tannini e sapidità, possono nascere vini incredibilmente complessi e longevi con il Negroamaro. Non si può, a questo proposito, non citare un altro grande vino paradigmatico ottenuto in prevalenza con il Negroamaro, vale a dire il Patriglione dell’azienda Cosimo Taurino. Avere la fortuna e l’opportunità di poter, non solo degustare, ma bere con il giusto abbinamento, vecchie annate di questo grande vino, è un’esperienza di grande fascino.
 
In realtà molte denominazioni pugliesi prevedono l’utilizzo di questo vitigno all’interno della composizione dei loro vini. Spesso, infatti, il Negroamaro si rivela fedele compagno in blend con altri vitigni. La Malvasia nera di Lecce o Brindisi, per esempio, è storicamente uno dei suoi compagni di viaggio. Ma nel tempo, poi, si sono aggiunti anche il Montepulciano ed il Primitivo (ma anche vitigni internazionali) per ragioni di carattere aromatico, di colore piuttosto ancora che di acidità.
 
Dal mio punto di vista, però, indipendentemente dalle tante interpretazioni oggi presenti sul mercato, che rispondono a esigenze storiche di un particolare areale, piuttosto che a esigenze commerciale, a seconda di dove i vini vengono poi venduti, la grandezza dei vini a base Negroamaro nasce quando non si spinge sul piede dell’acceleratore dell’estrazione e della maturità a tutti i costi. Da un Negroamaro non dovremo mai aspettarci le caratteristiche di altri vitigni, per esempio di un altro grande interprete pugliese, ma completamente differente, come il Primitivo. In realtà quando il Negroamaro sa coniugare insieme potenza e bevibilità, timbro del territorio di appartenenza ed eleganza, è in grado di stupire come pochi altri vitigni in Italia.
 
Tornando ai rosati – l’altra grande faccia del Negroamaro – bisogna osservare come sul mercato si presenti svariate interpretazioni: c’è chi preferisce puntare su note più nervose al palato, che giocano con colori lievemente aranciati, toni minerali ed agrumati insieme a una beva di bella piacevolezza. Altri che invece puntano a colori più fitti e note al naso più morbide, dolci, con il frutto maggiormente in evidenza. Scelte differenti, per mercati e gusti diversi, ma identificativi di un patrimonio certamente da preservare e valorizzare.