Il consumatore 4.0: il cibo che sazia la mente

Informato e consapevole. Ricerca un connubio perfetto tra salute e piacere, tra innovazione e tradizione. Acquista prodotti certificati, ma non si accontenta di un semplice bollino.
È questo il ritratto del consumatore 4.0 delineato dall’Osservatorio Cibi, Produzioni, Territorio (Cpt) di Eurispes, Uci e Univesitas Mercatorum.

Il consumatore 4.0

Nella fase postbellica, che ha visto la fine del secondo conflitto mondiale, il consumo dominava sulla persona. Il consumatore 4.0 ribalta le logiche del mercato.
Nell’era postmoderna, il consumatore non ha più fame ma appetito mentale. Deve essere saziato nella sua mente. Perciò, il consumatore 4.0 diventa un “produttore di significati”: cambiano dunque i termini dell’esistenziale socio-economico del consumatore stesso, il cui risultato è che prima di tutto, esso è una persona con atteggiamenti totalmente nuovi.

Dunque, conoscere il consumatore postmoderno significa conoscere e capire le persone, i loro valori e desideri. Il laboratorio socio-economico che viene prediletto per questa analisi è il food&beverage, perché rappresenta il labile confine tra innovazione e tradizione. Ciò, che risulta è dunque qualcosa di sospeso fra l’antico e il contemporaneo.
Nel 2018, l’Istat ha sottolineato che i consumi delle famiglie rappresentano la quota più importante del Prodotto interno lordo italiano e che quelli alimentari pesano l’11% di questi.
Ma cosa significa “consumare”? La proprietà e l’utilizzo di simboli ne sono un tratto essenziale: lo status symbol che dava priorità alla persona stessa e che ieri era l’automobile e poi è stato il brand di moda, oggi è la marca dell’alimento stesso.

Ma cosa crea nella mente del consumatore l’immagine positiva di una marca alimentare forte e positiva? Semplice: la qualità del prodotto. Ma cosa significa “qualità” in un prodotto alimentare? E soprattutto: come viene percepita dal consumatore?
Per rispondere a queste domande, l’Osservatorio CPT ha condotto un’indagine rivolta a quell che loro definiscono “i millennials”, perché individuati come i maggiori responsabili di acquisto. Ma chi sono i millennials? Le risposte potrebbero essere molteplici. Noi intenderemo tutti coloro i quali le loro idee, valori ed attitudini, perciò consumi si sono formati in questo millennio e dunque presentano differenze non solo anagrafiche, ma anche ma anche diverse condizioni economiche, sociali e nonché a livello di personalità.

Qualità cibo

Dall’indagine a risposta multipla, è emerso che la qualità del cibo viene dunque percepita attraverso cinque direttrici di senso:
1) sicurezza alimentare: es. “se lo mangio non mi fa male”, “ci sono poche cose dentro”, “l’etichetta è fatta bene”, è di stagione”;
2) qualità ambientale della terra d’origine dei prodotti: es. “c’è una certificazione ambientale del luogo”, “il luodo d’origine è bello e ben tenuto”, “è lontano dai centri abitati”;
3) naturalità dei processi di produzione: es. “è certificato bio”, “segue processi produttivi certificati”, “è fresco”;
4) contenuto salutistico dichiarato: es. “svolge funzioni positive per l’organismo”, “gli vengono tolto sostanze nocive”, “è additivato con ingredienti salutistici”;
5) sostanza laica della qualità: es. “è fatto in piccole quantità”, “è sul mercato da molto tempo”, “si sa come è fatto”.
Infine, anche da questa analisi, risulta che c’è la ricerca di prodotti innovativi senza dimenticare i prodotti storici, in linea con quanto sostenuto sopra.

Certamente la crisi economico-finanziaria ha impresso uno shock che ha costruito un sentimento negativo, con l’idea di un impoverimento generalizzato. Ma i dati dicono che in Italia il consumo ha dimensioni quantitative importanti da Paese progredito, le cui manifestazioni aggregate raccontano di uno stock diminuito (ma non basso) e di un consumatore in evoluzione.

Contesto socio-economico

Guardando al contesto socio-economico, vale fare una riflessione riguardo alla crisi economico-finanziaria avvenuta di recente. Senza dubbio, è nato un sentimento negativo che pervade la percezione e che ha coadiuvato alla nascita dell’idea di un impoverimento generalizzato.
I dati riguardo al consumo in Italia raccontano di uno stock diminuito, ma che il Belpaese continua ad avere dimensioni quantitative da Paese progredito e il cui consumatore è in evoluzione.
È vero che il quadro della spesa per consumi è statico, ma ci sono incrementi in alcune categorie di consumo, sinonimo di un consumatore diverso. Infatti, è interessante vedere come assieme ai consumi “politicamente scorretti” (quali fumo, gioco, alcol, droga, prostituzione) crescono di pari passo anche quelli “politicamente corretti” (come alimenti sani, prodotti equi e solidali, biologici, sostenibili). In cresciuta anche i consumi di integrazione (parafarmaci e super cibi); quelli di sottrazione (gluten free e sfusi) così come quelli di protezione (antifurti, assicurazioni, istruzione privata, spese sanitarie all’estero, di esposizione (es. viaggi e sport estremi); i consumi fai da te (cucina, bricolage, distillazione domestica) e quelli del già fatto (cibi pronti, home delivery).
Da questi dati emerge che il tratto di fondo dei consumi italiani è senza dubbio l’incoerenza. Fatto che si pone a diverse interpretazioni in correlazione all’analisi socio-economica, nonché storica che l’, l’Osservatorio CPT si è proposto di fare.
Appare evidente che la nuova cultura alimentare è incoerente e quindi divisa fra l’edonismo e il salutismo, tra uno stile di vita alimentare tradizionale e quello aperto alla globalità con tutto il cosmopolitismo. Forti contraddizioni fra comportamenti diametralmente opposti.

Digitalizzazione

Inoltre, grazie alla digitalizzazione, gli italiani hanno sviluppato quella che è la nuova cultura alimentare e perciò di consumo: uno scambio peer-to-peer soprattutto attraverso i social, l’informalità come stile, una percezione più fotografica che verbale, la sintesi come tempo prediletto.
È un vero e proprio cambiamento intellettuale nei confronti dei cibo: non è più solo un alimento e atto individuale, ma è strumento edonistico e fatto relazionale. Anche i media – soprattutto televisivi – hanno contribuito a questa trasformazione in chiave pop: abbiamo dunque chef che sono vere e proprie star o profili Instagram caratterizzati da foto di cibi condivisi con tutti.


Potrebbero interessarti anche