Ricerca della perfezione e dell’assoluto in cucina. Intervista allo Chef Niko Romito

Di Alessandra Zecchinon

Uno stile essenziale e inconfondibile quello dello Chef abruzzese Niko Romito, patron del Ristorante Reale di Castel di Sangro. La sua profonda conoscenza del territorio e delle materie prime, unita ad una ricerca costante che parte dalla tradizione rivisitata in chiave moderna, si materializzano in una cucina sincera e solo all’apparenza semplice. I suoi piatti catturano l’essenza degli ingredienti che lo compongono e regalano un’esperienza unica da tre Stelle Michelin.

Photo Credit @ Brambilla Serrani

Chef Romito cos’è per lei la cucina e quali caratteristiche dovrebbe avere un piatto?
La cucina è, in particolare per noi italiani, una parte fondamentale della nostra vita. È appartenenza culturale, memoria e condivisione, è un momento felice. È materia prima: sapori, profumi e consistenze che amo analizzare e comprendere in tutte le loro sfumature.
La mia filosofia di cucina parte da uno studio diretto e approfondito di questo enorme patrimonio di cultura e materie prime. Uno studio complesso, che può durare anche mesi prima di arrivare a un piatto, e che continua sempre, non si ferma mai. Ogni volta che realizzo un piatto il mio obiettivo è arrivare a una versione perfetta, assoluta, che esprime al massimo le potenzialità di ciascun ingrediente e che, seppure perfettamente riconoscibile da chiunque, crei in un qualche modo una rottura: offra cioè a chi lo mangia una visione nuova di qualcosa che già conosce. I miei piatti arrivano diretti, forti, netti, senza bisogno di essere interpretati o spiegati eccessivamente: la mia è una cucina che per essere capita va mangiata, sperimentata di persona. E che cambia man mano che si mangia: i miei piatti infatti si trasformano boccone dopo boccone, per raggiungere il loro massimo equilibrio solo alla fine.
Ogni volta che inizio a lavorare su un nuovo piatto rifletto su alcuni elementi chiave. Ogni mio piatto deve essere:
– buono al palato, ma anche intrinsecamente salutare, digeribile; che rispetti la materia prima di cui è composto e la persona che lo mangia;
– bello, ovvero esteticamente perfetto. E qui parlo di un’estetica che racchiude i concetti di etica, intelligenza, sostenibilità, qualità;
– ripetibile in un tempo limitato;
– sostenibile economicamente;
– nuovo.

Come sceglie gli ingredienti dei suoi piatti? Come si relaziona con il territorio?
Il mio lavoro è stato fortemente influenzato dal mio territorio, soprattutto all’inizio, quando ho iniziato a rivisitare le tradizioni locali. Continuo tutt’ora a usare la migliore materia prima della mia terra, come ad esempio lo zafferano dell’Aquila o le lenticchie Santo Stefano di Sessanio, presidio Slow Food, che crescono oltre i mille metri di altitudine solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori del Parco Nazionale d’Abruzzo e che scelgo per il gusto intenso e la loro consistenza al morso.
Ora l’Abruzzo per me rappresenta un ideale di concentrazione, riflessione, rispetto e verità applicati all’ingrediente. È una fonte di ispirazione: proprio come i paesaggi abruzzesi, dove su grandi altipiani si stagliano montagne altissime, nella mia cucina nulla è strillato, e tutta la forza espressiva si concentra in pochi, selezionati elementi che diventano protagonisti.
Per il pane, ad esempio, utilizzo la Solina e Saragolla, due vecchie varietà di grano tipiche del centro-sud. La Solina, in particolare, è prodotta sull’Altopiano delle Cinquemiglia a pochi chilometri da Casadonna: è un grano identitario, emblematico del territorio.

Quali sono le maggiori difficoltà che ha dovuto fronteggiare nella sua carriera e le più grandi soddisfazioni?
I miei esordi sono nel segno dell’improvvisazione e dell’istinto di sopravvivenza, in un certo senso obbligati anche dalla necessità di portare avanti il Reale. Non ho mai ipotizzato né un diploma alberghiero né uno stage nella cucina di qualche chef importante, ma ho optato per un’autodidattica “pilotata”. La mia curiosità mi ha portato a passare ogni attimo libero sulle pagine di un libro o ai tavoli del ristorante di un collega piuttosto che di un altro. È stato difficile sviluppare la mia idea di cucina e un linguaggio gastronomico originale dovendo al contempo fare i conti con la quotidianità di un ristorante situato in un piccolo paese di montagna. La mia più grande soddisfazione è forse proprio avercela fatta a creare Casadonna, il Reale e l’Accademia Niko Romito dopo anni di sacrifici in cui a volte io e Cristiana pensavamo di non riuscire a portare a termine il nostro progetto. Lavorare per anni in quasi totale isolamento da una parte è stato uno svantaggio, perché il mio lavoro ha impiegato molto tempo per essere conosciuto e apprezzato fuori, dall’altra è stato invece un vantaggio perché mi ha permesso di sviluppare un mio linguaggio culinario lontano da influenze esterne e con una forte identità, in completa libertà, e per Cristiana uno stile di servizio in sala altrettanto unico e definito.
Essere autodidatti significa tracciarsi da soli la strada, scavare dentro di sé per capire dove si vuole andare.

Chef Niko Romito General Manager Cristiana RomitoLo Chef Niko Romito e la sorella Cristiana, General Manager di Casadonna e Maitre del Ristorante Reale. Photo Credit @ Brambilla Serrani

Qual è il piatto che maggiormente la rappresenta e perché?
È difficile per me rispondere a questa domanda perché i miei piatti sono in continua evoluzione, perciò mi rappresentano sempre. Anche i piatti iconici vengono continuamente perfezionati, corretti, migliorati. In questo momento probabilmente è il Cavolfiore: un piatto mono-ingrediente, interamente vegetale, che deve la sua esistenza alla ricerca che ho portato avanti negli anni su tecniche come maturazione e fermentazioni, estrazione, stratificazione. In questo piatto è lo stesso ingrediente che si esprime in diverse consistenze, grazie a un lungo lavoro tecnico iniziato tanti anni fa che ha aperto la strada alla mia ricerca sui vegetali e ha portato a piatti come con l’”Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato”, “Carciofo”, “Verza e patate”, “Melanzana arrosto e caramello di pesca”, per citarne alcuni.

Oggigiorno per il cliente un piatto è più una ricetta, un’esperienza o un’emozione?
Un piatto è un’idea, uno studio, una ricerca e un’esecuzione e ha un fine che per l’ospite è diverso, a seconda di chi si siede a tavola. La sala del Reale, guidata da Cristiana, non ha il compito di indirizzare o guidare la degustazione, ma di renderla il più piacevole possibile per chi la fa. La nostra sala è discreta, attenta, si muove con passi studiati e non è mai invasiva ma, al tempo stesso è presente e competente ed è grazie a lei che l’esperienza di un piatto viene regalata totalmente al cliente, lasciandolo protagonista del suo momento gastronomico.

Lei collabora a livello internazionale con Bvlgari Hotels. Quali caratteristiche della cucina italiana desidera comunicare a chi assaggerà i suoi piatti all’estero?
Sono andato a fondo nella tradizione delle ricette classiche italiane, quelle della migliore cucina domestica, da nord a sud: la Cotoletta alla milanese, il Pollo alla diavola, il Risotto allo zafferano, ma anche semplicemente gli Spaghetti e pomodoro o l’Antipasto all’italiana, sono ricette che ho portato nel presente realizzando piatti precisi, moderni e leggeri, dal gusto potente e rivelatorio nei quali si può cogliere ogni dettaglio. Senza tralasciare i grandi ingredienti della nostra storia gastronomica come il Parmigiano, la bottarga, la burrata. Ho pensato che la tavola de “Il Ristorante Niko Romito” nei Bvlgari Hotels dovesse essere come quella di un’elegante casa borghese che riceve gli ospiti in un giorno di festa: quando si usano le ceramiche migliori e i tessuti pregiati e si cucina con la passione di chi vuole offrire solo il meglio ai propri ospiti.

Bomba un lievitato per un nuovo concept di ristorazione. Ci potrebbe descrivere le peculiarità di questo suo progetto?
Bomba nasce dalla mia storia di famiglia, dalla pasticceria Romito a Rivisondoli la cui specialità era questo dolce tradizionale. Partendo dalla vecchia ricetta di mio padre, ho sviluppato qualcosa di nuovo e diverso, che non esisteva prima: la declinazione salata della Bomba, con farciture e ripieni gourmet che prevedono preparazioni gastronomiche elaborate. Lo sviluppo industriale è stato fondamentale per arrivare alla versione odierna: più leggera dell’originale, fruibile da chiunque, replicabile ovunque. Bomba è un format che unisce la velocità e l’immediatezza di un “cibo da strada” alla ricerca sull’impasto, i ripieni e le tecniche di frittura che la rendono gustosa, leggera e contemporanea, accessibile a tutti, sia come comprensione che a livello economico. Un concept gourmet democratico.

La ristorazione riscuote grande interesse da parte dei giovani e in molti desiderano intraprendere una carriera nel settore. Cosa è cambiato nella formazione professionale?
Posso parlare qui della formazione che offre l’Accademia Niko Romito, che è nata proprio per formare le nuove leve della ristorazione. A Castel di Sangro, dove si trova l’Accademia, le lezioni tradizionali sono seguite da tirocini che consentono agli allievi di apprendere sul campo, agevolati da un percorso formativo in uno dei format del Gruppo Niko Romito: Spazio, Bulgari, Alt, Reale. Questo fa sì che ci sia un filo diretto tra la formazione in aula e l’applicazione pratica in cucina, mentre durante i corsi l’interazione con il Ristorante Reale è continua e diretta. La formazione di oggi tende a essere più completa, e si arricchisce di workshop e studi non solo in cucina: la gastronomia è una scienza complessa e richiede conoscenze ampie e variegate.

Avendo una scuola di alta formazione professionale, che consigli darebbe a chi vuole intraprendere la carriera di chef?
Fare il cuoco richiede dei requisiti ben precisi: curiosità, etica e passione. Questi sono indispensabili a chi approccia questa carriera, assieme alla ricerca continua e alla costante applicazione della contemporaneità alla tradizione. Gli ingredienti devono essere rispettati, i sapori devono essere riconoscibili e, con a disposizione le tecnologie più moderne, il fine è quello di sfruttarle per arrivare a piatti autentici, forti, veri. Infine, bisogna sempre tenere presente il benessere di chi mangia.
Vedo molto entusiasmo e voglia di fare nei giovani cuochi, ed è una cosa bella. Il lavoro in cucina però è duro e richiede una grande abnegazione. Non si tratta solo di saper cucinare acquisendo abilità pratiche, ma è importante anche acquisire disciplina e concetti base della cucina per poi sviluppare un proprio linguaggio originale e diventare dei professionisti “maturi”. La strada per diventare bravi cuochi insomma è lunga.

Intorno a Casadonna ha un vigneto dal quale è stato ottenuto un vino apprezzato. Quali sono gli aspetti che l’affascinano maggiormente di questa avventura?
I vigneti di Casadonna si trovano a 860 m slm, su un terreno abbandonato che abbiamo ripreso per avviare la sperimentazione, piantando uve del vitigno Pecorino grazie alla consulenza dell’azienda Feudo Antico. Il progetto di collaborazione con Feudo Antico non è nato con un obiettivo commerciale, ma come un’operazione sperimentale fortemente voluta da entrambi per il nostro territorio. Le piante del nostro vigneto, come tutte le micro produzioni, presentano caratteristiche uniche, tipiche delle zone di montagna. Qui poi siamo a due passi dal Parco Nazionale d’Abruzzo, con basse temperature e forti escursioni termiche che assicurano al vino freschezza, acidità, profumi intensi e bassa gradazione alcolica. Il progetto è affascinante per il fatto che abbiamo inaugurato un nuovo territorio vinicolo, finora totalmente inesplorato da questo punto di vista.

Photo Credit @ Alberto Zanetti

Come si situa la cucina italiana per rapporto alle altre grandi cucine internazionali?
Il grande valore aggiunto della cucina italiana è il bagaglio culturale delle nostre tradizioni gastronomiche: sfaccettato, variegato e potenzialmente infinito. È una cultura importantissima, che fa parte del nostro DNA, che ci permette di lavorare ingredienti e materie prime uniche, che abbiamo il dovere di trasformare in una cucina contemporanea. La cucina italiana parte dalla tradizione domestica e quindi nasce in casa.
Oggi il grande neo della cucina italiana è che – a differenza di altre cucine, come ad esempio quella nordica, francese o spagnola, non è un sistema strutturato e riconosciuto anche all’estero come tale. I dogmi della cucina italiana moderna sono appannaggio degli chef che fanno la propria cucina.
La cucina italiana all’estero poi si esprime in piatti che non ci rappresentano più, e contribuisce a creare confusione in questo senso. Proprio per questo motivo nel progetto Bvlgari ho voluto rileggere con le lenti della contemporaneità la tradizione gastronomica italiana, e dare una nuova immagine della cucina italiana nel mondo; la mia visione della cucina italiana oggi.


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