Vino senza alcol: la nuova frontiera dell’innovazione o tradimento della tradizione?
Negli ultimi anni, il dibattito sul vino senza alcol ha acceso discussioni tra produttori e appassionati. Secondo il ministro dell’Agricoltura e del Made in Italy, Francesco Lollobrigida, “il vino senza alcol non è vino”. Un pensiero condiviso anche da esperti come Josko Gravner, maestro degli orange wines, che ha dichiarato: «I vini dealcolati sono una cavolata. Se i giovani bevono meno vino è colpa dell’industria».
Eppure, non tutti la vedono allo stesso modo. A Calamandrana, nell’astigiano, l’imprenditore Massimo Lovisolo, fondatore di Sovipi, ha deciso di sfidare queste convinzioni con un approccio innovativo. Lovisolo ha cominciato a sperimentare il vino senza alcol, affermando che “il 50% degli abitanti del pianeta non beve alcolici”. Per lui, sembra logico rispondere a una domanda crescente e diversificare la propria produzione.
L’innovazione contro la tradizione
Nonostante in Italia sia ancora vietata la produzione di vino dealcolizzato, Lovisolo è riuscito a ottenere una licenza come azienda alimentare per avviare la sua sperimentazione. “Svolgo questa attività nel perimetro di legge”, ha dichiarato, con la determinazione di essere il primo a produrre vino senza alcol non appena la normativa sarà aggiornata.
La sua azienda ha una lunga storia vinicola, arrivata ormai alla quarta generazione. Tuttavia, Lovisolo sottolinea che senza innovazione, non si va da nessuna parte. “Una volta si usavano le damigiane, ora le bottiglie. Io produco anche bevande in lattina. Il mercato lo chiede”, ha spiegato, evidenziando che non solo il vino è in crisi, ma anche altre bevande come il gin tonic stanno attraversando una fase di trasformazione verso versioni non alcoliche.
La sfida del mercato free alcol
Il mercato del vino senza alcol è in forte crescita, soprattutto all’estero. Lovisolo spiega che bisogna distinguere tra i prodotti dealcolizzati, ottenuti dall’estrazione dell’alcol, e quelli che nascono direttamente senza alcol. “Una distinzione non da poco”, afferma, che caratterizza un settore in espansione dove molti paesi stanno investendo, con l’Italia ancora ferma ai blocchi di partenza.
In Paesi come la Spagna, aziende italiane inviano il proprio vino per la rimozione dell’alcol, affrontando costi significativi per poi re-importare il prodotto. “È una follia. Costa il doppio”, commenta Lovisolo, evidenziando come questa dinamica rappresenti un limite competitivo per le imprese italiane.
La realtà è che i giovani oggi bevono meno vino, orientandosi verso altre bevande, spesso analcoliche. “Sfruttare le nostre uve per soddisfare una domanda non mi pare un crimine”, sostiene Lovisolo, convinto che l’innovazione sia la chiave per uscire dalla crisi che molte aziende vinicole italiane stanno affrontando.
Una opportunità o un brutto esperimento?
Il vino senza alcol potrebbe rappresentare un’opportunità di rilancio per molte aziende italiane, offrendo un’alternativa in un mercato in evoluzione. Tuttavia, la strada è ancora piena di ostacoli normativi e culturali. Sarà il tempo a dire se l’Italia saprà cogliere questa opportunità o resterà ancorata a una tradizione che, seppur preziosa, potrebbe non bastare più per affrontare il futuro.