La rivoluzione del servizio in sala: intervista a Vincenzo Donatiello

Vincenzo Donatiello
Dalle mille idee innovative, una personalità particolare che si distingue senza dimenticare le sue origini, che gli permettono di trasmettere umilità, semplicità ma soprattutto energia e carica positiva. Vincenzo Donatiello è giovane, ma grazie alla sua maturità professionale, basata soprattutto su una dote che pochi hanno – l’umanitas -, lo troviamo in uno dei ristoranti più importanti: il Piazza Duomo dello Chef Enrico Crippa ad Alba. Sagace, talentoso e vivace: ecco la sua intervista, una piacevole chiacchierata che ti mette subito a tuo agio e in cui traspare tutta la genuità di Vincenzo.
 
Sei Sommelier e Restaurant Manager di un famoso ristorante tre stelle. E sei conosciuto per il tuo stile di servizio innovativo. Ci racconti la tua storia?
V: Vengo da Lavello, un piccolo paese in Basilicata. Sin da piccolo ho pensato che avrei lavorato nella ristorazione, ma il primo sogno era quello di fare il cuoco e con quell’intento mi ero iscritto all’IPSSAR di Vieste. Quando, nel 2000, partii per la prima stagione estiva in Romagna, il mio primo datore di lavoro mi disse che mi avrebbe fatto lavorare in sala per la mia mancanza di esperienza ai fornelli. Il momento in cui ho messo piede in sala per la prima volta è cambiato tutto: mi resi conto di avere una sorta di vocazione dentro, di quanto mi piacesse il contatto con la gente. Insomma, ci misi veramente pochi secondi a capire che l’accoglienza sarebbe stata la mia strada. A quell’esperienza ne seguirono molte altre tra Romagna, Roma e Sicilia. Ci ho messo un po’ a bussare alla porta dell’alta ristorazione, ci arrivai solo nel 2009 quando lavorai a La Frasca di Milano Marittima, all’epoca due stelle Michelin. A quell’esperienza seguirono Pascucci al Porticciolo a Fiumicino e il Piastrino a Pennabilli fino all’arrivo a Piazza Duomo, due anni da sommelier e dal 2015 il passaggio a Restaurant Manager.
 
Qual è stato il percorso che ti ha portato a sviluppare un’idea innovativa e rivoluzionaria rispetto alla tua professione?
V: Io dico sempre che sono un tamarro prestato alla ristorazione: vengo dalla scuola hip hop e per qualche anno mi sono anche dilettato a fare Rap, amo i tatuaggi e le auto sportive e, soprattutto, vengo da una realtà semplice. Ecco, è la semplicità che mi ha portato a sviluppare la mia idea di servizio. Bisogna rendere semplice, accessibile e leggibile l’esperienza agli ospiti; non devono esservi sovrastrutture, formalismi eccessivi o rigidità, che sono gli elementi che ammazzano l’accoglienza. Poi credo che questo sia un lavoro straordinario: la possibilità di fare network, lo scambio con altre culture e molto altro. Pochi lavori possono dare tutto questo. Penso sia arrivato il momento di far emergere queste caratteristiche e dare il giusto valore al ruolo del cameriere.
 
Ci racconti come nasce il libro “Io Servo – Dizionario Moderno per Camerieri”? Su che idea si basa e perché c’era il bisogno di un dizionario moderno per camerieri?
V: Ci pensavo da un paio di anni perché con l’esperienza accumulata ho sentito il bisogno di cominciare a tramandare e trasmettere quanto fatto e visto fino a oggi. Inoltre, non esisteva un libro del genere prima, che pone l’accento sull’aspetto emotivo ed emozionale di questo lavoro. In giro si vedono solo libri di tecnica sul servizio, peraltro con nozioni datate: oggi bisogna parlare alle future generazioni di come questo lavoro sia evoluto: marketing, comunicazione, storytelling, management e non certo di come si sbuccia una mela di fronte agli ospiti. E così ha preso vita il dizionario, una raccolta di termini che vogliono trasmettere la parte nascosta del nostro lavoro. Un dizionario pensato non solo per chi fa il cameriere ma per tutte quelle persone che lavorano al contatto con il pubblico e anche per gli ospiti così che possano comprendere perché una persona si dedichi completamente all’accoglienza.
 
Nel tuo libro, ti rivolgi a tutti i camerieri e in qualunque fascia di ristorazione. Oggigiorno, qual è il valore da attribuire alla figura del cameriere?
V: Il valore dei camerieri è altissimo, l’accoglienza può decretare o meno il successo di un locale, aumentarne l’appeal. Purtroppo in Italia esiste ancora un immagine del cameriere non consona, si considera troppo spesso come un lavoro di ripiego, lo si vede non professionalizzante e tutti nel settore sappiamo che non è così, anzi.
 

 
Quali sono i punti su cui bisogna ancora lavorare e riguardano la figura del cameriere?
V: Sicuramente la formazione va rivista a partire dalle basi: nella scuola c’è poco spazio per la pratica, si lavora su una didattica antiquata e bisognerebbe cominciare a parlare di team building, marketing, social media e innovazione invece di continuare a raccontare quanto era bello lavorare alla lampada e piangersi addosso perché oggi non si fa più. E poi c’è bisogno che i media parlino più di questa figura per cambiare agli occhi della gente la percezione del nostro ruolo.
 
Ci puoi dire quali sono per te le keywords dell’arte del servizio e qual è la tua visione?
V: Sicuramente la personalizzazione del servizio è una delle parole chiave, slegarsi dalle regole per costruire un servizio cucito su misura sul cliente e sul locale nel quale si opera al fine di far vivere una e vera propria esperienza. Un’altra keyword che ritengo essenziale è moderno: un servizio che fa vivere attivamente il ristorante al cliente.
Il cameriere 3.0 deve essere dinamico, gioviale, attento, curioso e un abile comunicatore.
 
Quali sono invece gli errori da evitare?
V: Uno su tutti, la superbia, il trattare l’ospite e i colleghi con senso di superiorità. E poi la mancanza di attenzione che può far crollare un servizio.
 
Ad oggi, quanto influisce la figura del cameriere in un’esperienza culinaria, sia essa di alta ristorazione oppure legata ad un servizio più veloce?
V: Ha un’importanza fondamentale, non mi piace dare una percentuale ma basti pensare che il cameriere è il primo e l’ultimo contatto con gli ospiti, senza considerare che rappresenta gli occhi e la voce di uno chef.
 
Nella tua carriera, qual è stato il momento in cui ti sei trovato più in difficoltà alle richieste di un cliente?
V: Circa un anno e mezzo fa un cliente all’arrivo del piatto principale del menu, ha iniziato a fare delle domande allo chef de rang sulla temperatura al cuore del piatto. Mi sono avvicinato e ho cercato di comprendere la sua richiesta spiegandogli che lo chef Enrico Crippa ama, per quel tipo di preparazioni, cotture classiche e gli ho chiesto se qualcosa non andava. Abbiamo ripreparato il piatto secondo indicazione del cliente e in più, gli abbiamo offerto dei calici di vino. Nonostante ciò, il cliente aveva l’aria insoddisfatta, così l’ho guardato e gli ho detto: “Gentilissimo, abbiamo preparato con piacere nuovamente il piatto, le abbiamo offerto un calice di vino. Ora può fare una cosa per noi? Sorrida!” Smile, perché il cliente veniva dal Texas. Ecco, lui ci ha messo qualche minuto, ma poi ci ha regalato il migliore dei suoi sorrisi e questa situazione è la ragione dello Smile sulla copertina del libro.
 
E il momento, per te, più gratificante? (fino ad oggi)
V: Quando uno dei più importanti matematici mondiali – che si era rivelato un cliente particolarmente esigente e che aveva trascorso circa una decina di cene a Piazza Duomo tra la primavera e l’autunno -, si lasciò andare a un abbraccio nei miei confronti confessandomi che gli saremmo mancati!
 
Tra le pagine del tuo libro, sostieni che il cameriere deve pensare da cliente. Cosa significa?
V: Pensare da cliente e osservare da cliente sono due elementi che ambiano sostanzialmente il nostro lavoro: un cameriere osserva la sala e i tavoli dall’alto, un cliente da seduto. Se da clienti non amiamo una presenza ossessiva del servizio, perché dovremmo essere troppo presenti da camerieri? Questi due esempi spiegano al meglio il significato del “pensare da cliente”.
 
Che suggerimenti dai alle giovani generazioni di camerieri?
V: Non perdete mai la curiosità e l’umiltà. Tutto il resto si può imparare con il giusto impegno e buoni Maestri.
 
Non potevamo non chiedertelo, ma il cliente ha sempre ragione?
V: Eeeh! Diciamo che il cliente non ha mai torto e questa cosa cambia parecchio le carte in tavola.
 

 
Crediti foto Vincenzo Donatiello: Lido Vannucci
Crediti foto libro “Io Servo – Dizionario Moderno per Camerieri: Marco Valori, illustrazioni di Adele Manuti
Crediti foto: Marco Varoli e illustrazioni di Adele Manuti


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