La ristorazione italiana deve fare pace con la parola marketing

Di Lorenzo Ferrari

Spopolano, tra gli addetti ai lavori, slogan quali “è solo marketing”, per riferirsi a pizzaioli che si fregiano dell’appellativo gourmet pur non essendolo. O di quei ristoranti che predicano qualità, ma praticano l’esatto opposto. Persino per
riferirsi ad attività senza arte né parte.
 
In tutti questi casi no, quelli non sono “solo marketing”, ma vere e proprie truffe. Una circonvenzione di incapace. Palese, per giunta.
Dobbiamo imparare a chiamare le cose con il proprio nome. Perché quegli esempi, di marketing, non hanno davvero nulla.
 
Tra i vari luoghi comuni, anche l’esatto opposto del caso appena citato. Cioè locali che secondo alcuni “non fanno marketing” eppure sono sempre pieni, sempre sulla cresta dell’onda, sempre amati da critica e pubblico.
 
Ecco, quello è esattamente la definizione di marketing. Quello è la forma finale, fatto come si deve.
 
marketing
 

Cos’è davvero il marketing?

Ce lo dice la parola stessa. Senza possibilità di fraintendimento alcuno. Marketing è infatti una parola composta da due termini. Impossibili da mal interpretare. Market che significa mercato. E il suffisso ing che indica continuità d’azione.
 
In nove lettere è racchiuso un significato bellissimo, quasi poetico, che nulla ha a che vedere con quanto si crede nel pensare comune. Infatti, se analizzato utilizzando quel filtro, non è altro che un processo che permette di entrare e stare in un mercato il più a lungo possibile. Con il vostro prodotto, la vostra azienda o il vostro ristorante. E raggiungere gli obiettivi che desiderate grazie ad essi.
 
Il marketing migliore, quello fatto bene, non si vede, è invisibile. E quando si vede, non è fatto bene. È sottile come una lama. Non evidente come un martello. È un sussurro all’orecchio. Non un urlo dentro un megafono. E tutto il nostro settore dovrebbe convincersene, prima che sia troppo tardi.
 


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