Il Parlamento europeo dice stop alla denominazioni della carne sui prodotti vegetali, ai “burger” vegani. Ristorazione e industria tra tutela della tradizione e sfida al cambiamento.
È ufficiale: in Europa, le parole “bistecca”, “salsiccia” e “burger” torneranno a indicare solo la carne. Il Parlamento europeo ha approvato l’emendamento che vieta l’uso di denominazioni tradizionalmente legate alla macelleria per i prodotti plant-based, segnando un punto di svolta nella comunicazione alimentare e nella strategia di marketing del settore.
Una norma che, nelle intenzioni, vuole “difendere la chiarezza del linguaggio e il patrimonio gastronomico europeo”. Ma che, nei fatti, apre una frattura tra due mondi che ormai da anni convivono nei menù dei ristoranti e sugli scaffali della GDO: quello della carne e quello delle alternative vegetali.
Un cambio di nome… E di paradigma
Dal 2028, chiamare “burger vegetale” un prodotto a base di legumi o soia non sarà più consentito. Stesso destino per “salsicce vegane” o “bistecche di tofu”. Il nuovo regolamento Ocm (Organizzazione Comune di Mercato) riserva tali denominazioni esclusivamente agli alimenti di origine animale, ampliando un principio già valido per termini come “prosciutto” o “bacon”.
L’obiettivo, secondo i promotori, è la trasparenza verso il consumatore. “Non si tratta di una battaglia contro il vegetale – spiegano fonti vicine alla Commissione Agricoltura – ma di tutelare la chiarezza dell’informazione e il valore delle parole della nostra tradizione”, per questo non si potranno attribuire denominazioni della carne ai prodotti vegetali.
Una scelta applaudita dal mondo agricolo e zootecnico, che vede in questo provvedimento una forma di riconoscimento del proprio patrimonio culturale e produttivo.
Il settore plant-based al contrattacco
Dall’altra parte, il settore delle alternative vegetali non nasconde la preoccupazione. Le associazioni europee del comparto parlano di un “passo indietro” rispetto ai trend di consumo e all’evoluzione del linguaggio alimentare.
“Il consumatore non è confuso: sa perfettamente cosa compra quando sceglie un burger vegetale”, sottolinea Rafael Pinto, portavoce dell’European Vegetarian Union. E dietro il problema linguistico si nasconde un impatto economico tutt’altro che marginale: per molte aziende, il rebranding di decine di referenze potrebbe comportare costi milionari e un rischio di perdita fino al 20% della clientela.
In un mercato che, solo in Italia, ha superato i 639 milioni di euro nel 2024 (fonte Circana) e coinvolge oltre 15 milioni di famiglie, la decisione rischia di rallentare un trend di crescita che sembrava inarrestabile.
Tra tradizione e innovazione: la sfida per la ristorazione professionale
Il mondo della ristorazione italiana si trova ora davanti a un bivio: come comunicare l’offerta plant-based senza violare le nuove regole e, al tempo stesso, senza rinunciare alla chiarezza e all’appeal commerciale?
Chef e ristoratori dovranno ripensare menu, carte e descrizioni. Non più “burger vegetale”, ma forse “medaglione di legumi”, “disco di ceci” o “piatto proteico a base vegetale”. Una sfida di linguaggio che va ben oltre la semantica: tocca l’identità stessa della nuova cucina sostenibile.
Per chi lavora nella ristorazione professionale, sarà fondamentale mantenere equilibrio e trasparenza, ma anche capacità di narrazione: il cliente oggi non cerca solo un nome, ma un’esperienza, un valore e una scelta consapevole.
Il futuro? Parla il mercato
La partita ora si gioca tra le istituzioni europee e un’industria che vale oltre 6 miliardi di euro a livello continentale. Mentre il legislatore cerca di tutelare le radici linguistiche del cibo, il mercato corre verso un futuro più ibrido, dove carne e vegetale convivono nella stessa offerta gastronomica.
La domanda, allora, resta aperta: basterà cambiare le parole per cambiare le abitudini?
O sarà il gusto – e non il lessico – a decidere davvero cosa mettiamo nel piatto?