Venerdì 15 gennaio: ristoranti aperti? La protesta #ioapro

Il settore della ristorazione è uno dei settori più colpiti dalla pandemia: chiusure prolungate, aperture a singhiozzo, ristori che tardano ad arrivare e una grande sofferenza tra i professionisti del settore. Tutto questo innesca malumori e azioni, accettabili o meno, di un settore veramente stanco della situazione che stiamo vivendo. Per questi motivi, per venerdì 15 gennaio, prima del nuovo Dpcm, è stata indetta una forma di protesta che ha l’obbiettivo di sensibilizzare l’attuale dura situazione dei locali e, in qualche modo, sfidare le restrizioni ordinate dal governo accendendo l’insegna e facendo accomodare all’interno del locale i proprio clienti.

Una protesta, quella in programma per venerdì 15 gennaio che parte dalla regione Sardegna e trova terreno fertile in quasi tutte le altre regioni. Ristoratori da ogni parte d’Italia hanno accolto con entusiasmo questa iniziativa: aprire i locali al pubblico, far accomodare i propri clienti per un massimo di 4 persone al tavolo senza mascherina, ma senza consumare cibi e bevande. Una protesta senza trasgredire le norme, ma pensata come un modo per creare solidarietà tra tutti i ristoratori italiani. Ma c’è chi azzarda e punta ad aprire a tutti gli effetti la cucina al pubblico con la possibilità di cenare.

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L’iniziativa di questo venerdì 15 gennaio, seguita sui social con l’hashtag #ioapro, è una forma di disobbedienza civile che le associazioni di categoria ufficiali invitano i ristoratori a non cedere a queste proteste molto pericolose. Un esempio è la Fipe – Confcommercio che, pur capendo le difficoltà e i malumori degli esercizi pubblici, condanna tutto questo: “Queste manifestazioni – certamente risultato di politiche improvvisate e programmazioni inesistenti, unite alla disperazione di una categoria senza più ossigeno – lasciano il tempo che trovano e, in più, vanno contro normative a cui nessun legale può opporsi. Si tratta di gesti radicali e inconsulti, che non possiamo appoggiare. Ecco perché Fipe ribadisce a gran voce di non aprire, perché poi le sanzioni vanno pagate, e contravvenire alle regole comporterebbe anche l’imposizione di chiusura” afferma Matteo Musacci, presidente regionale Fipe Emilia Romagna (e Vicepresidente nazionale).

Una protesta che vede più svantaggi che vantaggi suggeriscono le associazioni di categoria, resta comunque il fatto che, come dichiarato da Roberto Calugi, direttore generale di Fipe: “Il governo farebbe bene a controllare il territorio, invece di massacrare un settore che invece è già di suo massacrato. È il caso di dire “Basta”, la misura è colma. Nessuno ci coinvolge e la mattina ci vediamo le notizie sui giornali”.

In data 13 gennaio, Fipe riporta una nuova nota stampa dove richiara: “Il settore è stremato e la situazione grave e confusa, servono subito misure aggiuntive in grado di dare certezza agli imprenditori e adeguato ristoro alle perdite imposte alle loro aziende. Fipe-Confcommercio continuerà a lavorare incessantemente per ottenerle, garantendo nel frattempo ai propri imprenditori il massimo dell’ascolto e del supporto. In forza di questo ascolto, condividiamo dunque la frustrazione e il senso di spaesamento di tanti esercenti, che possono indurre a gesti radicali. Ma proprio per supportarli efficacemente, come rappresentanza del settore più grande e diffusa dell’intero Paese, esercitiamo il nostro ruolo e la nostra responsabilità. Il nostro ruolo è quello di difendere la categoria e di rappresentarne gli interessi reali, valorizzandoli per la loro capacità di contribuire al bene e al futuro del Paese.

In merito all’iniziativa di venerdì 15 gennaio: “La nostra responsabilità di parte sociale, radicata da più di 70 anni nel Paese reale, ci impone di mettere la legalità a prerequisito della nostra azione collettiva. Ciò significa proteggere i nostri associati dai rischi e dalle prese di posizione che li allontanano dal Paese e li espongono a sanzioni pesanti. Il Ministero dell’Interno è stato molto chiaro sui provvedimenti di controllo che verranno adottati nei confronti di chi non rispetta la legge. Inoltre, ci siamo battuti per mesi a difesa della reputazione del settore, trattato in modo sproporzionato dai provvedimenti come fonte di contagio e non valorizzato come attività essenziale. Se in seguito ad aperture forzose si dovesse casualmente registrare un nuovo picco nei contagi, l’intera categoria sarebbe ulteriormente danneggiata anche da questo punto di vista. Gli italiani hanno sempre manifestato grande attaccamento e vicinanza ai loro Pubblici Esercizi, ma sarebbe difficile solidarizzare con atti così distanti dal comportamento condiviso. Il rischio è quello di intraprendere azioni senza storia e senza futuro, che penalizzano tutti. Un’associazione di rappresentanza, se è tale, può e deve vedere questi pericoli. Porteremo quindi ancora ai tavoli sindacali e istituzionali le nostre necessità, rappresentandole con la forza delle nostre ragioni e il peso della nostra serietà”.

 

 

 

 


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