C’era una volta… i rabatòn, il piatto tipico piemontese

Dopo tanto viaggiare nel mondo della pasta futuristica in 3D, dopo aver toccato con mano dove possiamo spingerci nel realizzare pasta come forma d’arte con Gustavo Lacerda e lo Chef Luca Montersino, torniamo alle origini.
Sempre di viaggio si tratta, volendo anche di innovazione che affonda le sue radici nella più pura tradizione, tema a me tanto caro.

Partiamo quindi per Litta Parodi, frazione di circa 1200 anime scarse in Piemonte, a 110 metri sul livello del mare, in una zona pianeggiante e soleggiata a circa 10 chilometri da Alessandria denominata La Fraschetta.
Se tutti questi dati sono confortati da Wikipedia, il conoscere questa località per un appassionato della cultura gastronomica italiana diventa strategico e fondamentale dato che qui ha sede la Sagra del rabatòn.

Cosa sia il rabatòn è presto detto. Se volessimo categorizzarlo potremmo indicarlo come appartenente alla famiglia degli gnocchi, genere senza patate, specie gustosissima. A parte la battuta siamo di fronte ad un prodotto tipico tradizionale. Uno tra i primi piatti storici del Piemonte, oggetto di tutela da parte della “Confraternita du Rabatòn” sorta a difesa e promozione del prodotto originario.

rabatòn danilo curotto

Rabatòn prende il nome da arrotolare. Si tratta, infatti, di un prodotto della grandezza di un pollice, ma anche qualche cosa di più, di facile realizzazione, che trasforma gli gnocchi del giovedì in un piatto domenicale. Ed in effetti potremmo dire “giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa e domenica rabatòn!!!”

I rabatòn incarnano l’essenza di quella tradizione culinaria italiana che ha quasi per ogni comune, città, frazione o famiglia. Ricette differenti, tramandate nel tempo e che sono motivo di “scontro” come ai tempi dei Guelfi e Ghibellini. Non si sa mai quale sia il migliore dato che la piccola differenza apportata alla ricetta da ognuno rappresenta il punto di vantaggio sempre a proprio dire.

Esiste una ricetta originale dei rabatòn? Quella riportata a seguire sembra accontentare i più, anche se personalmente un poco di aglio nel far saltare le erbette non mi dispiace per nulla.

Come volevasi dimostrare, la personalizzazione è possibile anche se non possiamo, invece, transigere dalla forma e dal metodo di cottura, ossia cottura in acqua e poi gratinatura al forno con burro e salvia.
Come da miglior prassi in questi casi scatta il momento ricetta.

 

Ingredienti

 
300 g erbe miste di campo oppure bietole e spinaci (siamo al confine Sud del Piemonte con la Liguria e pensare di usare il prebuggiun non è proprio una eresia)
150 g ricotta vaccina
2 uova
50 g burro
50 g parmigiano
80 g farina di grano tenero
Sale, pepe e noce moscata a sentimento
30 g pangrattato
1 ciuffettino di prezzemolo
1 rametto di timo o maggiorana (vi avevo detto che siamo al confine con la Liguria?)

Procedimento

 
Cuocere in pochissima acqua salata le verdure mondate e pulite. Il mix di bietole e spinaci è più facile da trovare. Ma se per caso vi imbatteste in erbe spontanee (chiamiamolo prebuggiun per non sbagliarci) il risultato in termini di gusto sarebbe spettacolare.

Farle saltare in padella dopo averle strizzate per asciugarle il più possibile con una noce di burro (io qui ho aggiunto come scritto uno spicchio d’aglio di Vessalico, contaminando la ricetta con un influsso ligure e non me ne scuso), tritarle a coltello ed aggiungere tutti gli altri ingredienti fino ad ottenere un composto morbido.

Preparare i rabatòn arrotolando il composto sul palmo della mano a forma di sigaro della dimensione di un pollice o poco più, tuffateli in acqua bollente salata ed appena vengono a galla (come gli gnocchi) scolateli uno ad uno. Infarinateli e preparateli per una gratinatura al forno con fiocchetti di burro e parmigiano, pepe sempre a sentimento.

Serviti caldi diventano come le caramelle o i cioccolatini: uno tira l’altro e sono una valida alternativa ai classici gnocchi di patate, parenti forse più prossimi degli Spätzle di spinaci altoatesini con cui condividono molti ingredienti ma non la forma.

Semplici e geniali, tanto da essere innovativi in un ristorante, da riscoprire e tutelare come fa la Confraternita dedicata e la sagra di inizio settembre.

Sicuramente oggetto di marketing in un menù dato che racchiudono naming, tradizione, innovazione e peculiarità… tutti nello stesso piatto.

 

Crediti: Danilo Curotto


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